Nell’Ufficio delle Letture del venerdì II sett. di quaresima, la seconda lettura è presa dal Trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo (122 - 202) e riflette sul Decalogo (metto in corsivo le citazioni di Ireneo).
Sant’Ireneo constata che mentre i padri erano giusti, l’oppressione della schiavitù e l’apparente trionfo degli dèi d’Egitto sui discendenti di Abramo, fecero sì che ”giustizia e amore verso Dio caddero in dimenticanza anzi si estinsero del tutto in Egitto”. Ma Dio li salvò e diede loro nel deserto i comandamenti affinché rimanessero liberi e crescessero come popolo libero. Così “comandò l’amore verso Dio e suggerì la giustizia che si deve al prossimo perché l’uomo non fosse ingiusto e indegno di Dio". Così predisponeva, per mezzo del decalogo, l’uomo alla sua amicizia e alla concordia con il prossimo. Tutto questo giovava all’uomo stesso, senza che di nulla Dio avesse bisogno da parte dell’uomo. Queste cose poi rendevano ricco l’uomo perché gli davano quanto a lui mancava, cioè l’amicizia di Dio, ma a Dio non apportavano nulla, perché il Signore non aveva bisogno dell’amore dell’uomo”.
Qual è la situazione oggi?
Oggi, per molti battezzati, più che “Parole di Vita” e dono per una vita felice, i Comandamenti sono sentiti come un peso, qualcosa di imposto da un’autorità superiore senza alcun giovamento per l’uomo limitando la sua libertà, minacciandolo di castighi se disobbedisce. Tutto il contrario di ciò che comprendono i cristiani e insegna sant’Ireneo citando Mosè: «Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità» (Dt 30, 19-20).
Molti non ricordano i Comandamenti e quando lo fanno, lo fanno nel disordine anche perché non hanno compreso che i tre primi comandamenti riguardano il rapporto con Dio e gli altri sette il rapporto col prossimo, cioè che il rapporto con Dio viene prima di ogni cosa, perché è fondamento della vita, sorgente.
Ireneo nota che i Comandamenti sono rimasti come un tesoro fondamentale “non certo con alterazioni e tagli”, neppure quando “egli (il Signore) venne nella carne”. Infatti questi Comandamenti sono “insiti nella natura e convengono a uomini liberi, sono comuni a tutti, e furono sviluppati con il dono largo e generoso della conoscenza di Dio Padre, con la prerogativa dell’adozione a figli, con la concessione dell’amore perfetto e della sequela fedele al suo Verbo”.
Riprendendo i testi dal Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica vediamo che i Comandamenti insegnati ai bambini secondo la “Formula catechetica” hanno subito tagli e alterazioni pesanti. Esodo 20,2-17 comprende 1369 caratteri. La Bibbia riprende brevemente questo testo in Deuteronomio 5,6-21 in soli 397 caratteri. Ma per la Chiesa è ancora troppo e alla gente si insegna una Formula catechetica di soli 278 caratteri, quindi con tagli e alterazioni conseguenti ma anche voluti direttamente per quanto riguarda il sesto comandamento. Ho spiegato meglio la natura e le conseguenze di questi tagli e alterazioni in vari post: La Gioia del Vangelo: OCCULTAMENTO PRATICO DI UN TESTO FONDAMENTALE / 1/3. III Domenica di Quaresima., La Gioia del Vangelo: COME LA RIDUZIONE DEL TESTO DEI DIECI COMANDAMENTI NE CAMBIA IL SENSO / 2/3. Dalla III Dom di Quaresima., La Gioia del Vangelo: COME INSEGNARE BENE I DIECI COMANDAMENTI .... Ma è chiaro che se passo da un testo di 1369 caratteri che è Parola di Dio, totalmente ispirato, scritto per la nostra istruzione e salvezza a uno di soli 278, qualcosa cambia e molto. Eppure dice la stessa Scrittura: “Dichiaro a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell`albero della vita e della città santa, descritti in questo libro”. (Apocalisse 22, 18-19). So bene che le nostre Bibbie sono complete e le traduzioni accurate, ma se insegno la Parola in modo troncato e distorto non è come aggiungere e togliere qualcosa al testo sacro che i piccoli credono di conoscere attraverso il mio insegnamento? Non era questa la posizione di sant'Ireneo, Padre della Chiesa e Martire, che lottava fino alo spargimento del sangue contro ciò che minacciava la fede dei cristiani.
Per ricevere fedelmente queste Parola di Vita Mosè servo del Signore, si trattenne sul monte dinanzi al Signore, e digiunò quaranta giorni e quaranta notti!
Dal Trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo
(Lib. IV, 16, 2-5; SC 100, 564-572)
Il patto del Signore
Mosè nel Deuteronomio dice al popolo: «Il Signore nostro Dio ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb. Il Signore non ha stabilito quest’alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti in vita» (Dt 5, 2-3).
Perché dunque non fece il patto con i loro padri? Proprio perché «la legge non è fatta per il giusto» (1 Tm 1, 9). Ora i loro padri erano giusti, essi che avevano scritto nei loro cuori e nelle loro anime la virtù del decalogo, perché amavano Dio che li aveva creati e si astenevano da ogni ingiustizia contro il prossimo; perciò non fu necessario ammonirli con leggi correttive, dal momento che portavano in se stessi la giustizia della legge.
Ma quando questa giustizia e amore verso Dio caddero in dimenticanza anzi si estinsero del tutto in Egitto, Dio per la sua grande misericordia verso gli uomini manifestò se stesso facendo sentire la sua voce. Con la sua potenza condusse fuori dall’Egitto il popolo perché l’uomo ridiventasse discepolo e seguace di Dio. Castigò i disobbedienti perché non disprezzassero colui che li aveva creati.
Sfamò, poi, il popolo con la manna, perché ricevesse un cibo spirituale come aveva detto Mosè nel Deuteronomio: «Ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8, 3).
Comandò l’amore verso Dio e suggerì la giustizia che si deve al prossimo perché l’uomo non fosse ingiusto e indegno di Dio. Così predisponeva, per mezzo del decalogo, l’uomo alla sua amicizia e alla concordia con il prossimo. Tutto questo giovava all’uomo stesso, senza che di nulla Dio avesse bisogno da parte dell’uomo. Queste cose poi rendevano ricco l’uomo perché gli davano quanto a lui mancava, cioè l’amicizia di Dio, ma a Dio non apportavano nulla, perché il Signore non aveva bisogno dell’amore dell’uomo.
L’uomo invece era privo della gloria di Dio, che non poteva acquistare in nessun modo se non per mezzo di quell’ossequio che a lui si deve. E per questo Mosè dice al popolo: «Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità» (Dt 30, 19-20).
Allo scopo di preparare l’uomo a questa vita il Signore proferì egli stesso le parole del decalogo per tutti indistintamente. Perciò rimasero presso di noi, dopo aver ricevuto sviluppo e arricchimento, non certo alterazioni e tagli, quando egli venne nella carne.
Quanto ai precetti limitati all’antico stato di servitù, essi furono prescritti a parte dal Signore al popolo per mezzo di Mosè in modo adatto alla loro istruzione e formazione. Lo dice Mosè stesso: A me allora il Signore ordinò di insegnarvi leggi e norme (cfr. Dt 4, 5).
Per questo ciò che fu dato loro, per quel tempo di schiavitù e in figura, fu abolito col nuovo patto di libertà. Quei precetti, invece, che sono insiti nella natura e convengono a uomini liberi sono comuni a tutti e furono sviluppati con il dono largo e generoso della conoscenza di Dio Padre, con la prerogativa dell’adozione a figli, con la concessione dell’amore perfetto e della sequela fedele al suo Verbo.
RESPONSORIO Cfr. Es 34, 28
R. Mosè, servo del Signore, digiunò quaranta giorni e quaranta notti, * per ricevere la legge.
V. Egli si trattenne sul monte, dinanzi al Signore, quaranta giorni e quaranta notti,
R. per ricevere la legge.
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