L'espressione napoletana del titolo vuol dire che abbiamo tutti tendenza ad installarci, a cercare una posizione di riguardo o almeno comoda. Tutto il contrario del Vangelo.
La prima lettura parla di apertura radiosa a tutti i popoli che convertendosi alla fede nell’Unico Dio, vengono persino resi degni di svolgere il servizio sacerdotale. Ma ecco che il Vangelo parla di porta di ingresso nel Regno dei Cieli, prima stretta poi chiusa.
Gesù è diretto a Gerusalemme, e lungo la via un tale gli chiede: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,23). Gesù risponde che non è importante sapere quanti si salvano. L’importante è che io mi salvi. Ora si entra nel Regno per una porta stretta - bisogna sforzarsi per entrare per essa - ma a conti fatti fa entrare molta gente: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio” (Lc 13,29).
Questa porta poi sarà chiusa. E non a tutti il Signore aprirà. Mi chiedo: come essere sicuro che il Signore mi aprirà? Posso andare immaginando varie situazioni. Non si tratta di orario, o di aver fatto troppo poco: “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno!” supplica il condannato crocifisso accanto a Gesù. Egli non ha opere buone da presentare. Ma per lui la porta si apre: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). Il Cursillo de Cristiandad è nato dopo che un giovane aveva convinto due condannati a morte ad aprirsi al Signore poco prima della loro esecuzione all’alba. Parlò loro così: “siccome voi domani sarete in paradiso, voglio affidarvi una richiesta al Signore!” Grande stupore! Si confessarono e fecero la comunione. Nel pomeriggio quel giovane ricevette l’illuminazione che costituì l’architettura del Cursillo, come segno che fossero arrivati in paradiso. San Giuseppe Cafasso parlava dei suoi “santi impiccati”. La Chiesa condanna come peccato gravissimo la cosiddetta disperazione finale: il non credere che il Signore possa/voglia (più) salvarmi.
Secondo il testo del Vangelo la porta non viene aperta invece a chi pensa di avere dei meriti, a chi dà per scontato di averne il diritto. “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza, hai insegnato nelle nostre piazze” (Lc 13,26). Per costoro, che pensano di avere il biglietto assicurato, la porta rimane chiusa. Infatti la salvezza è donata per grazia, e l’accoglie solo chi sa di non meritarla. Si tratta quindi semplicemente di riconoscere che siamo piccoli e poveri. Tutto ciò che ci viene chiesto, come al malfattore crocifisso, è di ammettere il nostro peccato e il nostro bisogno di redenzione: questa è la “parola d'ordine” che apre la porta.
Gesù chiama “operatori di ingiustizia” chi si sente giusto. È l’unica ingiustizia che impedisce la salvezza. Verso costoro, Gesù ha parole pesanti: “Non so di dove siete” (Lc 13,27). Ovvero non appartenete al mio Regno, non condividete la mia logica, il mio modo di vedere la vita, di vivere la fede. Al contrario, i lontani, che arrivano come dei poveri senza meriti, loro sederanno alla mensa del Regno. A patto però di rimanere come il ladrone sulla croce che può solo implorare ciò che può solo essere gratuito, che può solo essere donato.