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venerdì 1 agosto 2025

LA SPERANZA SI ESPRIME NELLA PREGHIERA / 36. NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 63-64.

Monaci certosini recitano la
dossologia alla fine del salmo.



63. La correttezza nella preghiera possiede un’implicazione soteriologica. È Gregorio di Nissa a lanciare l’avvertimento più incisivo: la speranza del credente è più di una morale nel senso attuale del termine, ma si esprime anche nella preghiera. La speranza è rivolta verso la divinizzazione operata da Dio: se «la prima grande speranza non è più presente presso coloro che si lasciano coinvolgere in un errore di dottrina», ciò ha per conseguenza «che non c’è alcun vantaggio a comportarsi correttamente col sostegno dei comandamenti». E Gregorio prosegue:

PREGHIAMO COME SIAMO STATI BATTEZZATI / 35. NICEA. Gesù Cristo, .... nn. 61-62.


S. Giovanni in Fonte,
il Battistero più antico
di Europa, Napoli.


61. I difensori di Nicea hanno affermato invece che la pratica della preghiera doveva sì corrispondere alla fede, ma che questa corrispondeva a sua volta al battesimo. Ora, la formula battesimale manifesta l’uguaglianza in dignità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ne risulta che la preghiera – che sia personale o liturgica – può e deve ugualmente rivolgersi al Figlio. Anche se i niceni non hanno rigettato l’antica formula dossologica, ma ne hanno difeso il senso ortodosso,[95]essi hanno preferito altre formulazioni e preposizioni: “tō Patri, kai…kai”, “tō Patri, dia… sun”, che sono ugualmente attestate nella tradizione biblica e liturgica.[96]Basilio si riferisce in tal senso, tra l’altro, all’inno molto antico “Phōs hilăron” * (forse del II secolo), nel quale il Padre, il Figlio e lo Spirito sono oggetto di un canto di adorazione.[97] 

LA QUESTIONE DELLA PREGHIERA AL FIGLIO / 34 NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 59-60.

Cristo consegna la Legge a Pietro
Battistero di s. Giovanni in Fonte, 
Napoli.

4. La preghiera al Figlio e le dossologie  

59. La fede di Nicea serve da regola per la preghiera personale e liturgica[90]e quest’ultima è segnata da Nicea. Benché l’“invocazione del nome del Signore (Gesù)” sia già attestata negli scritti del Nuovo Testamento[91]e benché soprattutto gli inni a Cristo[92]testimonino l’offerta di lode e di adorazione, la preghiera al Figlio diventa oggetto di controversia nella crisi ariana.

60. Nel rimando a certi testi di Origene,[93]alcuni ariani del IV secolo, ma anche alcuni seguaci di Origene dei secoli V e VII, si oppongono particolarmente alla preghiera liturgica al Figlio. Gli ariani avevano interesse a mettere in evidenza i passaggi delle Scritture che mostravano Gesù stesso in preghiera, al fine di sottolineare la sua inferiorità in rapporto al Padre. In combinazione con la concezione (apollinarista), ugualmente diffusa presso gli ariani, secondo la quale il Logos prende il posto dell’anima di Gesù, la subordinazione del Logos al Padre sembrava così provata. Per essi, quindi, la preghiera rivolta al Figlio era inappropriata. A favore del loro punto di vista, gli ariani argomentavano utilizzando la formulazione tradizionale della dossologia, che riveste una grande importanza, particolarmente nelle liturgie orientali: «Gloria e adorazione al Padre per (dia / per) il Figlio nello (en / in) Spirito Santo».[94] La differenza delle preposizioni veniva invocata come prova di una differenza essenziale delle persone. Gli ariani cercavano di ricorrere alla liturgia – riconosciuta come istanza di testimonianza della fede della Chiesa – per provare ciò che essi consideravano in tal modo teologicamente giustificato. 

SE GESÙ NON È DIO NON PUOI ESSERE SALVATO / 33. NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 57-58.



57. Così, nelle sue catechesi, Giovanni Crisostomo spiega la fede battesimale validamente formulata a Nicea,[86]e distingue la retta fede non soltanto rispetto alla dottrina omea, ma anche nei confronti della dottrina sabelliana: i cristiani credono in un Dio che è “una essenza, tre ipostasi”. Agostino argomenta in maniera simile nelle istruzioni dei candidati al battesimo.[87]L’Oratio catechetica magna di Gregorio di Nissa, le cui parti più voluminose sono dedicate al Verbo di Dio eterno e incarnato, può essere considerata come il capolavoro di una catechesi chiaramente destinata a coloro che dovrebbero diffonderla, cioè i vescovi e i catechisti. A tema non c’è solo la relazione tra il Figlio-Parola e il Padre (cap. 1.3.4.), ma anche il significato dell’incarnazione in quanto azione redentrice (cap. 5). Gregorio vuole far comprendere che la nascita e la morte non sono qualcosa di indegno di Dio o di incompatibile con la sua perfezione (cap. 9 e 10), e spiega l’incarnazione col motivo dell’amore di Dio per gli uomini. Ma insiste soprattutto sul fatto che il battesimo cristiano è compiuto nella “Trinità increata”, cioè nelle tre Persone coeterne. È solo così che il battesimo conferisce la vita eterna e immortale: «Poiché chi si sottomette a qualche essere creato (e cioè se pensa che il Figlio e lo Spirito Santo sono creati) non si accorge che ripone in quello, e non in Dio, la propria speranza di salvezza».[88] 

APPROFONDIMENTO NELLA PREDICAZIONE E NELLE CATECHESI / 32. NICEA. Gesù Cristo, ... n. 56.



3. Approfondimento nella predicazione e nelle catechesi 

56. I Padri d’Oriente e d’Occidente non si accontentavano di argomentare con l’aiuto dei trattati teologici, ma illustravano ugualmente la fede nicena nelle prediche destinate al popolo, al fine di premunire i fedeli contro le interpretazioni errate, generalmente designate col termine “ariano” – anche se gli “homei”d’Occidente all’epoca di Agostino si distinguevano nettamente dai “neo-ariani” d’Oriente nelle loro argomentazioni. La concezione teologica secondo la quale il Figlio non è “Dio vero da Dio vero”, ma solo la creatura più eminente del Padre e non è coeterno col Padre, è stata riconosciuta dai Padri come una minaccia persistente e combattuta anche indipendentemente dalla presenza di avversari concreti. Il prologo del Vangelo di Giovanni offriva in proposito l’occasione di spiegare la relazione tra Padre e Figlio ovvero tra “Dio” e la sua “Parola”, in modo conforme alla confessione di Nicea.[83]Cromazio di Aquileia (ordinato vescovo nel 387/388, morto nel 407), ad esempio, trasmette ai suoi fedeli la fede nicena senza utilizzare la terminologia tecnica.[84] Perfino i Padri della Chiesa che nutrivano un certo scetticismo di principio riguardo alle “dispute teologiche”, presero una posizione molto chiara contro “l’empietà ariana” (“asebeia”, “impietas”): gli Ariani non comprendono “la generazione eterna del Figlio”, né “l’uguaglianza-eternità originale” del Padre e del Figlio.[85]Essi si sbagliano anche sul monoteismo, accettando una seconda divinità subordinata. Il loro culto è quindi perverso ed erroneo. 

"NOI" CREDIAMO / 31. NICEA. Gesù Cristo, ... n. 54.



54. Ugualmente, è a motivo del suo statuto di confessione di fede e precisamente di fede apostolica, e non in quanto definizione o insegnamento, che il Simbolo di Nicea è considerato nel periodo successivo (almeno fino alla fine del V secolo) come la prova decisiva dell’ortodossia.[78] Per questo è utilizzato come testo base nei concili successivi. Così, Efeso e Calcedonia si vogliono interpreti del Simbolo niceno: essi sottolineano il loro accordo con Nicea e si oppongono alle prese di posizione dissidenti rispetto a Nicea. Quando la Confessione di fede di Nicea-Costantinopoli è stata letta al Concilio di Calcedonia, i vescovi riuniti hanno esclamato: «Ecco la nostra fede. É in questa fede che siamo stati battezzati, è in questa fede che noi battezziamo! Il papa Leone crede così, Cirillo credeva così».[79] Notiamo che la professione di fede può essere espressa al singolare – “io credo” – ma che spesso è al plurale: “noi crediamo”; allo stesso modo, la preghiera del Signore è al plurale: “Padre nostro…”. La mia fede, radicalmente personale e singolare, si inscrive altrettanto radicalmente in quella della Chiesa, intesa come comunità di fede. Il Simbolo di Nicea e l’originale greco del Simbolo di Nicea-Costantinopoli si aprono col plurale “noi crediamo”, «per testimoniare che in questo “Noiˮ, tutte le Chiese erano in comunione, e che tutti i cristiani professavano la stessa fede».[80] 

NON ESPOSIZIONE TEORICA MA CONFESSIONE DI FEDE BATTESIMALE / 30. NICEA. Gesù Cristo, ... nn. 52-53

Professione di fede
nella parrocchia di
s. Castrese, Marano


2. Il Simbolo di Nicea come confessione di fede

52. Non soltanto la confessione di fede di Nicea è espressione della fede battesimale ma è possibile che provenga direttamente da un Simbolo battesimale della Chiesa di Cesarea in Palestina (se si dà credito a ciò che dice Eusebio).[75] Sarebbero state fatte tre aggiunte: “…cioè della sostanza del Padre”, “generato, non creato”, e “consustanziale al Padre (homooúsios)”. In questo modo, è stabilito con una impressionante chiarezza che colui che “ha preso carne per noi uomini... e ha sofferto” è Dio, homooúsion tō Patri. Eppure, pur essendo “da la sostanza del Padre” (ek tēs ousias tou Patros), Egli è distinto dal Padre nella misura in cui è suo Figlio. Grazie a lui, che «si è fatto uomo per la nostra salvezza», noi sappiamo che cosa significa il fatto che il Dio trinitario «è amore» (1Gv 4,16). Queste aggiunte sono essenziali e dicono l’originalità propria e l’apporto determinante di Nicea, ma conviene allo stesso tempo sottolineare senza posa che il Simbolo in quanto simbolo di fede si radica in modo originale nel contesto liturgico, che è il suo ambito vitale e dunque il contesto nel quale riceve tutto il suo senso. Non si tratta certo di un’esposizione teorica ma di un atto di celebrazione battesimale, che si arricchisce dal resto della liturgia e a sua volta la illumina. I nostri contemporanei possono avere talvolta l’impressione che il credo sia un’esposizione molto teorica proprio perché ne ignorano il radicamento liturgico e battesimale.  

IL BATTESIMO SENZA FEDE NON HA VALORE / 29. NICEA. Gesù Cristo, ... n. 51.

Battesimi di giovani e adulti
 in forte crescita in Francia


51. Detto questo, per Atanasio e per i Padri Cappadoci, non si tratta semplicemente di pronunciare la formula trinitaria, ma il battesimo presuppone la fede nella divinità di Gesù Cristo. Così, l’insegnamento della retta fede è necessario e fa parte della pratica conforme al battesimo. Atanasio cita come fondamento la formulazione del comando in Mt 28,19: «Andate... insegnate... e battezzate».[72]Per questo Atanasio – come Basilio e Gregorio di Nissa[73]– negano ogni efficacia al battesimo ariano, perché coloro che considerano il Figlio come una creatura non hanno una giusta concezione di Dio Padre: colui che non riconosce il Figlio non comprende nemmeno il Padre e non “possiede” il Padre, dal momento che il Padre non ha mai cominciato ad essere Padre.[74]