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Cristo consegna la Legge a Pietro Battistero di s. Giovanni in Fonte, Napoli. |
4. La preghiera al Figlio e le dossologie
59. La fede di Nicea serve da regola per la preghiera personale e liturgica[90]e quest’ultima è segnata da Nicea. Benché l’“invocazione del nome del Signore (Gesù)” sia già attestata negli scritti del Nuovo Testamento[91]e benché soprattutto gli inni a Cristo[92]testimonino l’offerta di lode e di adorazione, la preghiera al Figlio diventa oggetto di controversia nella crisi ariana.
60. Nel rimando a certi testi di Origene,[93]alcuni ariani del IV secolo, ma anche alcuni seguaci di Origene dei secoli V e VII, si oppongono particolarmente alla preghiera liturgica al Figlio. Gli ariani avevano interesse a mettere in evidenza i passaggi delle Scritture che mostravano Gesù stesso in preghiera, al fine di sottolineare la sua inferiorità in rapporto al Padre. In combinazione con la concezione (apollinarista), ugualmente diffusa presso gli ariani, secondo la quale il Logos prende il posto dell’anima di Gesù, la subordinazione del Logos al Padre sembrava così provata. Per essi, quindi, la preghiera rivolta al Figlio era inappropriata. A favore del loro punto di vista, gli ariani argomentavano utilizzando la formulazione tradizionale della dossologia, che riveste una grande importanza, particolarmente nelle liturgie orientali: «Gloria e adorazione al Padre per (dia / per) il Figlio nello (en / in) Spirito Santo».[94] La differenza delle preposizioni veniva invocata come prova di una differenza essenziale delle persone. Gli ariani cercavano di ricorrere alla liturgia – riconosciuta come istanza di testimonianza della fede della Chiesa – per provare ciò che essi consideravano in tal modo teologicamente giustificato.