“Chi soccorre (la vedova) ... la sua preghiera arriva fino alle nubi. (invece) La preghiera del povero attraversa le nubi, né si quieta finché non sia arrivata (a Dio)”.
Chi soccorre i poveri per vanagloria, per un suo tornaconto mondano anche nella realtà parrocchiale, la sua preghiera non arriva nemmeno al tetto. Chi lo fa con cuore retto, pur elevandosi molto in alto, la sua preghiera si ferma alle nubi. La preghiera del povero le attraversa. Conviene quindi essere poveri. Ma non lo siamo già? Siamo tutti poveri mortali e poveri peccatori. Il problema è che non lo accettiamo. Gesù che “da ricco che era si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà” (2 Corinzi 8,9), la Scrittura, i bellissimi carismi di carità che arricchiscono la storia della Chiesa, nulla riesce a smuoverci. Papa Leone nella “Dilexi te” ci ricorda che i poveri non sono esterni alla Chiesa ma il suo cuore. Vale la pena leggere, o ascoltare anche il discorso che ha fatto ai membri dei Movimenti popolari (Il Papa: migranti trattati come spazzatura e popoli derubati, servono giustizia e solidarietà - Vatican News).
Il pubblicano è povero davanti a Dio e può appoggiarsi solo alla sua misericordia. Il fariseo è ricco delle sue opere. Infatti non prega Dio, prega, ma “tra sé”. La sua preghiera è un elenco non dei doni di Dio ma di ciò che lui fa e delle persone che può disprezzare. La preghiera del pubblicano è breve, accorata, rivolta a Dio. “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Prima ancora di fare “frutti degni della conversione” (Luca 3, 8, vd. Matteo 3, 8), il pubblicano è reso giusto da Dio. Dovrà perseverare, ma riceve la salvezza immediatamente! Nulla di strano allora che questa frase sia stata usata da tanti cristiani che, ripetendola col cuore, vi hanno trovato enorme giovamento, anzi, santificazione. Facciamo silenzio e poi ripetiamo dal profondo del nostro animo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Dal libro del Siràcide Sir 35,15b-17.20-22a