32. Con l’esorbitante pretesa della risurrezione dei morti, la fede di Nicea professa che la salvezza è completa e piena. L’uomo è liberato da ogni male, compreso “l’ultimo nemico” che deve essere distrutto da Cristo perché tutto sia sottomesso a Dio (cf. 1Cor 15,25-26). La fede nella risurrezione implica non semplicemente la sopravvivenza dell’anima ma anche la vittoria sulla morte.[44]Di più, l’uomo non è salvato solo quanto alla sua anima ma anche nel suo corpo. Nulla di ciò che fa l’identità e l’umanità dell’uomo rimane al di fuori della creazione nuova offerta da Cristo. Infine questo dono sarà acquisito per sempre, dal momento che si dispiega nella “vita del mondo che verrà”, l’eschaton pienamente realizzato. A partire dalla Pasqua, nessun peccato ha più il potere di separare il peccatore da Dio – perlomeno se questi afferra la mano del Crocifisso Risuscitato, che si protende fino al più profondo dell’abisso per offrirsi alle pecorelle smarrite: «Sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né potestà, né presente né futuro, né altezze né profondità, né qualunque altra cosa creata potrà separarci dall’amore che Dio ha per noi in Cristo Gesù nostro Signore» (Rm 8,38-39).
33. Poiché Cristo ci salva in quanto vero Dio, la risurrezione significa per noi l’ingresso nella vita divina, umanizzazione e divinizzazione a un tempo, come testimonia il commentario fatto da Gesù del salmo 81,6 in Gv 10,14: «Voi siete dèi».[45]E poiché egli ci salva in quanto Figlio, generato dal Padre, questa divinizzazione è una filiazione adottiva e una conformazione al Cristo; è l’ingresso per opera dello Spirito Santo nell’amore del Padre. Noi siamo amati e rigenerati dallo stesso amore col quale il Padre ama e genera eternamente il Figlio. Tale è l’implicazione soteriologica della paternità di Dio professata a Nicea. Infine, poiché il Cristo ci salva in quanto Figlio, con il Padre e lo Spirito Santo, questa filiazione è un’immersione reale nelle relazioni trinitarie. Ecco perché il Simbolo nasce dalla professione di fede battesimale trinitaria e il battesimo si compie «nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo». L’immensità del dono così rivelato si attualizza nel mistero dell’Ascensione di Cristo: “è salito al cielo”, manifestando che lo stesso Cristo è il “nostro cielo”.[46] Il Figlio esaltato invierà il dono di Dio promesso, lo Spirito di Pentecoste. Nessuna visione più limitata della salvezza potrà essere realmente cristiana.
[44] Cf. Concilio di Orange (529), canone 1, DH 371, e canone 2, DH 372.
[45] Secondo Ireneo, Gesù si riferisce qui a «coloro che hanno ricevuto l’adozione filiale» in lui. Cf. Ireneo di Lione, Contro le eresie III, 6,1, trad. it. di A. Cosentino, vol. 2, p. 24.
[46] «Cristo, l’uomo che è in Dio, per l’eternità una cosa sola con Dio, è al tempo stesso il perpetuo essere aperto di Dio per l’uomo. Egli stesso è, quindi, ciò che noi chiamiamo “cielo”, poiché il “cielo” non è uno spazio, ma una persona, la persona di Colui nel quale Dio e uomo sono per sempre inseparabilmente uno. E noi ci avviciniamo al “cielo”, anzi, entriamo nel “cielo”, nella misura in cui ci avviciniamo a Gesù Cristo ed entriamo in Lui», J. Ratzinger, Gesù di Nazaret. Scritti di cristologia, ed. it. di P. Azzaro, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2023, (Opera Omia 6/2) pp. 273-274. Cf. anche H.U. von Balthasar, «Eschatologie», in J. Feiner, J. Trütsch et F. Böckle (éd.), Fragen der Theologie heute, Einsiedeln, Zurich, Cologne 1957, pp. 403-421 (qui pp. 407-408).
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