CAPITOLO PRIMO
LE OMBRE DI UN MONDO CHIUSO
9. Senza la pretesa di compiere un’analisi esaustiva né di prendere in
considerazione tutti gli aspetti della realtà che viviamo, propongo soltanto di
porre attenzione ad alcune tendenze del mondo attuale che ostacolano lo
sviluppo della fraternità universale.
Sogni che vanno in frantumi
10. Per decenni è sembrato che il mondo avesse imparato da tante guerre e
fallimenti e si dirigesse lentamente verso varie forme di integrazione. Per
esempio, si è sviluppato il sogno di un’Europa unita, capace di riconoscere
radici comuni e di gioire per la diversità che la abita. Ricordiamo «la ferma
convinzione dei Padri fondatori dell’Unione europea, i quali desideravano un
futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e
per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente».[7] Ugualmente
ha preso forza l’aspirazione ad un’integrazione latinoamericana e si è
incominciato a fare alcuni passi. In altri Paesi e regioni vi sono stati
tentativi di pacificazione e avvicinamenti che hanno portato frutti e altri che
apparivano promettenti.
11. Ma la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono
conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi
chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. In vari Paesi un’idea dell’unità
del popolo e della nazione, impregnata di diverse ideologie, crea nuove forme
di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa
degli interessi nazionali. E questo ci ricorda che «ogni generazione deve far
proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete
ancora più alte. È il cammino. Il bene, come anche l’amore, la giustizia e la
solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni
giorno. Non è possibile accontentarsi di quello che si è già ottenuto nel
passato e fermarsi, e goderlo come se tale situazione ci facesse ignorare che
molti nostri fratelli soffrono ancora situazioni di ingiustizia che ci
interpellano tutti».[8]
12. “Aprirsi al mondo” è un’espressione che oggi è stata fatta propria dall’economia
e dalla finanza. Si riferisce esclusivamente all’apertura agli interessi
stranieri o alla libertà dei poteri economici di investire senza vincoli né
complicazioni in tutti i Paesi. I conflitti locali e il disinteresse per il
bene comune vengono strumentalizzati dall’economia globale per imporre un
modello culturale unico. Tale cultura unifica il mondo ma divide le persone e
le nazioni, perché «la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non
ci rende fratelli».[9] Siamo
più soli che mai in questo mondo massificato che privilegia gli interessi
individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza. Aumentano
piuttosto i mercati, dove le persone svolgono il ruolo di consumatori o di
spettatori. L’avanzare di questo globalismo favorisce normalmente l’identità
dei più forti che proteggono sé stessi, ma cerca di dissolvere le identità
delle regioni più deboli e povere, rendendole più vulnerabili e dipendenti. In
tal modo la politica diventa sempre più fragile di fronte ai poteri economici
transnazionali che applicano il “divide et impera”.
[7] Discorso al Parlamento
Europeo, Strasburgo (25 novembre 2014): AAS 106 (2014), 996.
[8] Incontro con le
Autorità, la società civile e il Corpo diplomatico, Santiago del Cile (16
gennaio 2018): AAS 110 (2018), 256.
[9] Benedetto XVI,
Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009),
19: AAS 101 (2009), 655.
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