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sabato 15 giugno 2024

COSA È ANDATO A FARE IL PAPA AL G7? / 14-06-2024




Questo Papa che è andato al G7. Cosa ci è andato a fare? Fa troppa politica. Giovanni Paolo II era diverso! 

Serve ricordare ciò che ha fatto Giovanni Paolo II? Ha parlato continuamente di Diritti Umani, è andato all’ONU nel 1979 e nel 1995, è andato al Parlamento italiano nel 2002, fece un incontro a Roma per il Giubileo per i Governanti e Parlamentari nel 2000, parlò  alla Commissione e alla Corte dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo (Francia) nel 1988, al Parlamento di Varsavia nel 1999, e fece ogni sforzo per aiutare il popolo polacco a ritrovare la sua libertà. In questo breve elenco mancano moltissimi suoi interventi... 

In pratica, ovunque un Papa può, ricorda i principi della Dottrina Sociale della Chiesa (che comprende i principi della Politica). Papa Francesco al G7 ha sviluppato una riflessione sulla Intelligenza Artificiale. Un tema molto importante oggi. Come ogni strumento dell’uomo può essere usato per il bene o per il male. La tecnologia dice qualcosa sulla specificità dell’essere umano. Il Papa parla di “ulteriorità”: l’uomo va oltre. Ma l’Intelligenza Artificiale (IA) ha dei caratteri particolari che non hanno gli altri strumenti. Per questo motivo conviene leggere il discorso del Papa. Ho messo il discorso letto, più breve di quello integrale  ( Versione integrale del Discorso preparato dal Santo Padre).


Discorso pronunciato dal Santo Padre al G7

Grazie tante per la vostra attenzione.

Io qui ho due versioni: quella lunga e quella breve. Io leggerò la breve, soltanto.

L’intelligenza artificiale è uno strumento affascinante e tremendo

Saluto tutti Voi, Leader del Forum Intergovernativo del G7, saluto l’onorevole Giorgia Meloni, saluto la segretaria dell’Unione Europea e saluto presidenti, re, tutto quelli che sono presenti qui. La riflessione è “Gli effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità”.

«La Sacra Scrittura attesta che Dio ha donato agli uomini il suo Spirito affinché abbiano “saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro” (Es 35,31)»[1]. La scienza e la tecnologia sono dunque prodotti straordinari del potenziale creativo di noi esseri umani[2].

Ebbene, è proprio dall’utilizzo di questo potenziale creativo che Dio ci ha donato che viene alla luce l’intelligenza artificiale.

Quest’ultima, come è noto, è uno strumento estremamente potente, impiegato in tantissime aree dell’agire umano: dalla medicina al mondo del lavoro, dalla cultura all’ambito della comunicazione, dall’educazione alla politica. Ed è ora lecito ipotizzare che il suo uso influenzerà sempre di più il nostro modo di vivere, le nostre relazioni sociali e nel futuro persino la maniera in cui concepiamo la nostra identità di essere umani[3].

Il tema dell’intelligenza artificiale è, tuttavia, spesso percepito come ambivalente: da un lato, entusiasma per le possibilità che offre, dall’altro genera timore per le conseguenze che lascia presagire.

Non possiamo, del resto, dubitare che l’avvento dell’intelligenza artificiale rappresenti una vera e propria rivoluzione cognitivo-industriale, che contribuirà alla creazione di un nuovo sistema sociale caratterizzato da complesse trasformazioni epocali. Ad esempio, l’intelligenza artificiale potrebbe permettere una democratizzazione dell’accesso al sapere, il progresso esponenziale della ricerca scientifica, la possibilità di delegare alle macchine i lavori usuranti; ma, al tempo stesso, essa potrebbe portare con sé una più grande ingiustizia fra nazioni avanzate e nazioni in via di sviluppo, fra ceti sociali dominanti e ceti sociali oppressi, mettendo così in pericolo la possibilità di una “cultura dell’incontro” a vantaggio di una “cultura dello scarto”.

La portata di queste complesse trasformazioni è ovviamente legata al rapido sviluppo tecnologico dell’intelligenza artificiale stessa.

Proprio questo vigoroso avanzamento tecnologico rende l’intelligenza artificiale uno strumento affascinante e tremendo al tempo stesso ed impone una riflessione all’altezza della situazione.

In tale direzione forse si potrebbe partire dalla costatazione che l’intelligenza artificiale è innanzitutto uno strumento. E viene spontaneo affermare che i benefici o i danni che essa porterà dipenderanno dal suo impiego.

Questo è sicuramente vero, poiché così è stato per ogni utensile costruito dall’essere umano sin dalla notte dei tempi.

Questa nostra capacità di costruire utensili, in una quantità e complessità che non ha pari tra i viventi, fa parlare di una condizione tecno-umana: l’essere umano ha da sempre mantenuto una relazione con l’ambiente mediata dagli strumenti che via via produceva. Noi esseri umani, infatti, viviamo una condizione di ulteriorità rispetto al nostro essere biologico; siamo esseri sbilanciati verso il fuori-di-noi, anzi radicalmente aperti all’oltre. Da qui prende origine la nostra apertura agli altri e a Dio; da qui nasce il potenziale creativo della nostra intelligenza in termini di cultura e di bellezza; da qui, da ultimo, si origina la nostra capacità tecnica. La tecnologia è così una traccia di questa nostra ulteriorità.

Tuttavia, l’uso dei nostri utensili non sempre è univocamente rivolto al bene. Anche se l’essere umano sente dentro di sé una vocazione all’oltre e alla conoscenza vissuta come strumento di bene al servizio dei fratelli e delle sorelle e della casa comune (cfr Gaudium et spes, 16), non sempre questo accade. Anzi, non di rado, proprio grazie alla sua radicale libertà, l’umanità ha pervertito i fini del suo essere trasformandosi in nemica di sé stessa e del pianeta[4]. Stessa sorte possono avere gli strumenti tecnologici. Solo se sarà garantita la loro vocazione al servizio dell’umano, gli strumenti tecnologici riveleranno non solo la grandezza e la dignità unica dell’essere umano, ma anche il mandato che quest’ultimo ha ricevuto di “coltivare e custodire” (cfr Gen 2,15) il pianeta e tutti i suoi abitanti. Parlare di tecnologia è parlare di cosa significhi essere umani e quindi di quella nostra unica condizione tra libertà e responsabilità, cioè vuol dire parlare di etica. Non si può scartare una cosa dall’altra.

E questo è vero in misura maggiore per l’intelligenza artificiale, la quale è uno strumento ancora più complesso. Direi quasi che si tratta di uno strumento sui generis. Conviene sempre ricordare che la macchina può, in alcune forme e con questi nuovi mezzi, produrre delle scelte algoritmiche. Ciò che la macchina fa è una scelta tecnica tra più possibilità e si basa o su criteri ben definiti o su inferenze statistiche. L’essere umano, invece, non solo sceglie, ma in cuor suo è capace di decidere. Per questa ragione, di fronte ai prodigi delle macchine, che sembrano saper scegliere in maniera indipendente, dobbiamo aver ben chiaro che all’essere umano deve sempre rimanere la decisione, anche con i toni drammatici e urgenti con cui a volte questa si presenta nella nostra vita. Condanneremmo l’umanità a un futuro senza speranza, se sottraessimo alle persone la capacità di decidere su loro stesse e sulla loro vita condannandole a dipendere dalle scelte delle macchine. Abbiamo bisogno di garantire e tutelare uno spazio di controllo significativo dell’essere umano sul processo di scelta dei programmi di intelligenza artificiale: ne va della stessa dignità umana.

Proprio su questo tema permettetemi di insistere: in un dramma come quello dei conflitti armati è urgente ripensare lo sviluppo e l’utilizzo di dispositivi come le cosiddette “armi letali autonome” per bandirne l’uso, cominciando già da un impegno fattivo e concreto per introdurre un sempre maggiore e significativo controllo umano. Nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita ad un essere umano.

Rimettere al centro la dignità della persona in vista di una proposta etica condivisa

A quanto già detto va ora aggiunta un’osservazione più generale. La stagione di innovazione tecnologica che stiamo attraversando, infatti, si accompagna a una particolare e inedita congiuntura sociale. Si registra come uno smarrimento o quantomeno un’eclissi del senso dell’umano e un’apparente insignificanza del concetto di dignità umana[5]. Ed è così che in questa stagione in cui i programmi di intelligenza artificiale interrogano l’essere umano e il suo agire, proprio la debolezza dell’ethos connesso alla percezione del valore e della dignità della persona umana rischia di essere il più grande vulnus nell’implementazione e nello sviluppo di questi sistemi. Non dobbiamo dimenticare infatti che nessuna innovazione è neutrale: nessuna innovazione è neutrale. La tecnologia nasce per uno scopo e, nel suo impatto con la società umana, rappresenta sempre una forma di ordine nelle relazioni sociali e una disposizione di potere, che abilita qualcuno a compiere azioni e impedisce ad altri di compierne altre. Questa costitutiva dimensione di potere della tecnologia include sempre, in una maniera più o meno esplicita, la visione del mondo di chi l’ha realizzata e sviluppata.

Questo vale anche per i programmi di intelligenza artificiale. Affinché questi ultimi siano strumenti per la costruzione del bene e di un domani migliore, debbono essere sempre ordinati al bene di ogni essere umano. Devono avere un’ispirazione etica.

La decisione etica, infatti, è quella che tiene conto non solo degli esiti di un’azione, ma anche dei valori in gioco e dei doveri che da questi valori derivano. Per questo ho salutato con favore la firma a Roma, nel 2020, della Rome Call for AI Ethics[6] e il suo sostegno a quella forma di moderazione etica degli algoritmi e dei programmi di intelligenza artificiale che ho chiamato “algoretica” [7]. In un contesto plurale e globale, in cui si mostrano anche sensibilità diverse e gerarchie plurali nelle scale dei valori, sembrerebbe difficile trovare un’unica gerarchia di valori. Ma nell’analisi etica possiamo ricorrere anche ad altri tipi di strumenti: se facciamo fatica a definire un solo insieme di valori globali, possiamo però trovare dei principi condivisi con cui affrontare e sciogliere eventuali dilemmi o conflitti del vivere.

La politica di cui c’è bisogno – perché c’è bisogno di una politica su questo.

Non possiamo nascondere il rischio concreto, poiché insito nel suo meccanismo fondamentale, che l’intelligenza artificiale limiti la visione del mondo a realtà esprimibili in numeri e racchiuse in categorie preconfezionate, estromettendo il rapporto e l’apporto di altre forme di verità e imponendo modelli antropologici, socio-economici e culturali uniformi. Il paradigma tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare spazio a un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome di “paradigma tecnocratico [si sbaglia, dice democratico]”[8].

Ed è proprio qui che è urgente l’azione vostra, l’azione politica, come ricorda l’Enciclica Fratelli tutti. Certamente «per molti la politica oggi è una brutta parola, e non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici. Non di tutti: alcuni. A ciò si aggiungono le strategie che mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia. E tuttavia, può funzionare il mondo senza politica? No. Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica?»[9].

La nostra risposta a queste ultime domande è: no! La politica serve! Mi viene in mente quello che un Papa ha detto sulla politica: “È la forma più alta della carità, è la forma più alta dell’amore”. La politica serve. Voglio ribadire in questa occasione che «davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato […] la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo dovere in un progetto di Nazione e ancora di più in un progetto comune per l’umanità presente e futura»[10]. Sempre c’è la tentazione di uniformare tutto. Mi viene in mente un romanzo, famoso, dell’inizio del 1900, “The Lord of the World”, un romando inglese futurista, che fa vedere il futuro senza politica, il futuro soltanto uniformante. È bello leggerlo, è interessante.

Gentili Signore, Illustri Signori!

Questa mia riflessione sugli effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità ci conduce così alla considerazione dell’importanza della “sana politica” per guardare con speranza e fiducia al nostro avvenire. Come ho già detto altrove, «la società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali. Dobbiamo andare alle radici. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti. Solo una sana politica potrebbe averne la guida, coinvolgendo i più diversi settori e i più vari saperi. In tal modo, un’economia integrata in un progetto politico, sociale, culturale e popolare che tenda al bene comune può “aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana, né l’intelligenza artificiale e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo” (Laudato si’, 191)» [11].

Questo è proprio il caso dell’intelligenza artificiale. Spetta ad ognuno farne buon uso e spetta alla politica creare le condizioni perché un tale buon uso sia possibile e fruttuoso.

Grazie.


__________________


[1] Messaggio per la LVII Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2024, 1.

[2] Cfr ibid.

[3] Cfr ivi, 2.

[4] Lett. enc Laudato si’ (24 maggio 2015), 102-114.

[5] Cfr Dicastero per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana (2 aprile 2024).

[6] Cfr Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, 28 febbraio 2020.

[7] Cfr Discorso ai partecipanti al Convegno “Promoting Digital Child Dignity – From Concet to Action”, 14 novembre 2019; Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, 28 febbraio 2020.

[8] Per una più ampia esposizione, rimando alla mia Lettera Enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune del 24 maggio 2015.

[9] Lettera enc. Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale (3 ottobre 2020), 176.

[10] Ivi, 178.

[11] Ivi, 179.

[01033-IT.01] [Testo originale: Italiano – Trascrizione di lavoro]

[B0504-XX.03]


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