13. È essenziale tenere insieme a un tempo la divinità dello Spirito come “terzo” in Dio e il suo legame col Padre così come col Figlio. In effetti, ancora oggi persistono delle difficoltà a considerarlo come una Persona divina a sé e non come una semplice forza divina, magari cosmica. Si potrebbe perfino pensare di pregare il Padre e il Figlio lasciando fuori lo Spirito, contrariamente alla preghiera della Chiesa che si rivolge sempre al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. Si riconoscerà una legittima importanza all’Eucaristia, alla Vergine Maria o alla Chiesa – senza tuttavia misurare quanto queste ultime realtà siano preziose precisamente perché sono vivificate dallo Spirito.[19]Al contrario, altri attribuiranno un posto centrale, se non esclusivo, allo Spirito Santo, fino a lasciare in secondo piano il Padre e il Figlio, cosa che ricade, paradossalmente, in una forma di riduzionismo pneumatologico, dal momento che Egli è Spirito del Padre e Spirito del Figlio (Gal 4,6; Rm 8,9). La grandezza sovrabbondante dello Spirito Santo espressa nella fede di Nicea è una protezione sicura contro questi riduzionismi.
14. Così, dalla pienezza fontale della paternità di Dio, discende la pienezza sovrabbondante di Dio Padre, del Figlio e dello Spirito semper major. Ora, la pienezza fontale del Padre implica una tàxis (un ordine) nella vita del Dio trinitario. Il Padre è la fonte di tutta la divinità.[20] La seconda persona è certo Dio e luce, ma lo è in quanto è “Dio da Dio”, “luce da luce”. Pur essendo confessato come uguale al Padre e al Figlio quanto alla divinità, lo Spirito è presentato in una maniera molto diversa dagli altri due. Abbiamo appena visto (cf. supra § 12) che egli è descritto con caratteristiche divine e che deve essere adorato col Padre e col Figlio. Detto questo, le differenze di espressione sono notevoli: ciò che è detto del Padre e del Figlio, cioè “un solo”, o del Figlio, cioè “consustanziale”, non è ripetuto a proposito dello Spirito. Senza nulla togliere alla sua co-divinità, la maniera di menzionare lo Spirito nel Simbolo sottolinea la sua distinzione personale. Così, ciò che è proprio nel parlare dello Spirito Santo mette in luce l’unicità di ciascuna persona divina. In un certo modo, in Dio, “ipostasi” o “persona” è un termine analogico, nel senso che ciascuno dei tre “nomi” divini è pienamente persona, ma lo è in una maniera unica. Questa unicità mostra anche che l’uguaglianza, da una parte, e la differenza e l’ordine, dall’altra, non si contraddicono. Anche questo è frutto della sovrabbondante paternità del Padre. Recepire Nicea significa ricevere la ricchezza della paternità divina che stabilisce l’uguaglianza ma anche la differenza e l’unicità.
[19] Sull’“oblio” dello Spirito Santo, si veda Y. Congar, Credo nello Spirito Santo, Queriniana, Brescia 1998, pp. 180-186. Le analisi di Congar si concentrano soprattutto sui secoli XIX-XX, ma i fenomeni che descrive esistono ancora, anche se in maniera più sottile.
[20] «Credimus […] Patrem […] fontem et originem totius divinitatis», VI Concilio di Toledo, DH 490. Si veda anche Agostino, per il quale il Padre è «il Principio di tutta la Divinità», Agostino, De Trinitate, IV, 29,trad. it. di G. Beschin, Sant’Agostino, La Trinità, Città Nuova, Roma 20033, p. 225.
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