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Organizzato dall'Associazione Sant'Isidoro, c'è stato in parrocchia un bel incontro sul Concilio di Nicea con due docenti della PFTIM |
Nicea ci permette di comprendere come la recezione (l'accettazione concreta) di ogni Concilio prende tempo, e come la Tradizione è vivente e non si ferma anche se ciò che è stato acquisito non si rimette in causa, ma invece si precisa e si approfondisce.
4. Una precisazione s’impone prima di procedere oltre nella riflessione. Ci basiamo sul Simbolo di Nicea-Costantinopoli (381) e non in senso stretto sul Simbolo composto a Nicea (325). In effetti, fu necessaria una cinquantina di anni perché il vocabolario del Simbolo di Nicea fosse accettato e vi fosse consenso sulla portata universale del Concilio. Il processo di ricezione del Concilio di Nicea si è prolungato durante il conflitto con gli Pneumatomachi tra Nicea e Costantinopoli, portando a introdurre alcune modificazioni testuali significative, in particolare nel terzo articolo di fede. Secondo l’opinione dei Padri, tuttavia, questo processo, che giunge a compimento nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano, non implicava alcuna alterazione della fede nicena, ma la sua autentica preservazione.
In questo senso, il preambolo della definizione dogmatica di Calcedonia, che era stata preceduta dalla trascrizione del Simbolo di Nicea e del Simbolo Niceno-Costantinopolitano, “conferma” ciò che è stato detto nel Simbolo dei “150 Padri” (Costantinopoli), poiché il suo senso risiede, secondo i suoi stessi termini, nella precisazione di ciò che riguarda lo Spirito Santo contro coloro che negano la sua signoria.[5]L’ampiezza di ciò che è successo a Nicea si manifesta nella proibizione fatta al Concilio di Efeso di promulgare qualunque altra formula di fede,[6]perché, nei momenti successivi a Nicea, i sostenitori dell’ortodossia hanno pensato che il discernimento cristallizzato nel Simbolo Niceno sarebbe stato sufficiente a garantire la fede della Chiesa per sempre. Atanasio, ad esempio, dirà di Nicea che si tratta della «parola del nostro Dio che dura per sempre» (Is 40,8).[7] Questo processo di Tradizione vivente e normativa si prolunga tra il IV e il IX secolo, attraverso l’adozione di questo Simbolo nelle liturgie battesimali, soprattutto in Oriente, e poi nelle liturgie eucaristiche. Notiamo che il Filioque, che si trova nelle versioni occidentali attuali del Simbolo, non fa parte del testo originale del Simbolo Niceno-Costantinopolitano, sul quale questo Documento intende appoggiarsi.[8] Questo punto continua a essere oggetto di malintesi tra le confessioni cristiane, di modo che il dialogo tra Oriente e Occidente deve proseguire ancora oggi.
[5] Cf. Concilio di Calcedonia, Preambolo, DH 300.
[6] Cf. Concilio di Efeso, VI sessione dei Cirilliani, DH 265.
[7] Citato in K. Schatz, Storia dei Concili. La Chiesa nei suoi punti focali, Dehoniane, Bologna 2012, p. 36.
[8] «La Chiesa cattolica riconosce il valore conciliare ecumenico, normativo e irrevocabile, quale espressione dell’unica fede comune della Chiesa e di tutti i cristiani, del Simbolo professato in greco dal II Concilio Ecumenico a Costantinopoli nel 381. Nessuna professione di fede propria ad una tradizione liturgica particolare può contraddire questa espressione di fede insegnata e professata dalla Chiesa indivisa», Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, «Le tradizioni greca e latina riguardanti la processione dello Spirito Santo», 13 settembre 1995, in L’Osservatore Romano, mercoledì 13 settembre 1995, p. 5.
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