Il
Concilio Vaticano II, frutto di un lungo cammino di preghiera, di studi e di
esperienze, di riforme iniziali (Pio XII), ha sentito la necessità di riformare
profondamente la Liturgia. Questo ha portato, nel 1970, al Nuovo Messale romano (esistono altri riti, in particolare riti orientali, ma anche occidentali, come
il rito ambrosiano a Milano, ecc.).
Il
cambiamento più evidente è stato il passare dal latino alla lingua di tutti i
giorni: l’italiano in Italia, il francese in Francia ecc. Infatti nessuno
sapeva più il latino. I suoi difensori dicevano che era la lingua della Chiesa,
che ci univa tutti, che permetteva di seguire la messa facilmente anche
all’estero, ecc. Idealmente il latino ci univa, ma la gente vive a casa
propria, qualcuno non va mai all’estero… Chi non sa il latino, che bel
vantaggio andando all’estero! continua a non capire, come a casa. Siamo più
uniti se comprendiamo tutti chi è Gesù Cristo e viviamo la stessa fede
illuminata, che se preghiamo con le stesse parole incomprensibili.
Nel 2000
ho viaggiato in treno con dei tradizionalisti francesi, in pellegrinaggio verso
Roma. Abbiamo parlato molto e le loro motivazioni per rifiutare il Concilio
erano tutte basate su cattivi esempi dati dai parroci “conciliari”. Tipo, il
prete che si presenta alla porta della canonica in canottiera, o anche cose più
pesanti… Alla fine, ho proposto di dire
il rosario insieme. Il loro libretto di pellegrinaggio era tutto in latino:
preghiere, inni, ecc.. Ho quindi pensato fargli piacere pregando in latino. Non
sapevano nemmeno il Padre nostro e l’Ave Maria in latino!
In convento un mio confratello voleva che si celebrasse ogni sabato la messa secondo il Messale di Paolo VI, quello conforme al Concilio, ma in latino. Non ho detto nulla. Siccome tra noi facevamo i turni per la presidenza dell’Eucaristia, un giorno mi si chiede: - Vuoi presiedere oggi? – No! – Come mai? – Se devo fare sforzi per far capire all’Assemblea, celebrerò anche in cinese, ma fare sforzi per non far capire ai frati, no. – Ma il latino lo comprendiamo tutti! – Bene allora ecco l’orazione sulle offerte, traduci! - …… Non sapeva tradurre, era un prete giovane, che forse come me aveva studiato latino solo alle Medie.
L’uso
del latino nella liturgia, oggi, tranne qualche preghiera come il Padre nostro
per esempio, è un totale controsenso. Infatti Gesù non celebrava in latino, e
non lo farebbe oggi. San Pietro e gli apostoli celebravano in aramaico o in
greco, nelle lingue della gente che evangelizzavano. “Amen”, “Alleluja”, “Osanna”
… , sono parole ebraiche rimaste dalle origini, come "Kyrie eleison" è greco. Al
tempo di Gesù un po’ tutti parlavano greco, dalla Palestina fino a Roma. Quando
non si è più capito il greco a Roma si è usato il latino. Da secoli i cattolici
melkiti, maroniti e copti usano l'arabo, gli arbresh di Sicilia
e Calabria usano l’albanese … Cosa ci vengono a raccontare con questa storia
del latino? Voler mantenere il latino perché è la lingua della Chiesa, è solo frutto di grande ignoranza.
Ma il
problema dei tradizionalisti è più profondo: vogliono celebrare con il Messale
di san Pio V, nell’Edizione del 1962 (la sesta dal 1570, quindi ogni volta con
delle modifiche, anche se marginali …). Da notare che san Pio V, promulgando il
nuovo Messale romano, aveva tolto ogni valore ai libri liturgici
anteriori e azzerato molti riti di chiese particolari. Ma, secondo la sensibilità
odierna si è voluto tener conto della soggettività di certi gruppi. Questa generosità
è stata strumentalizzata per costruire una Chiesa parallela, quando non una
nicchia comoda per alcuni preti. L’obbligo di custodire l’unità della Chiesa impone
al Papa di reagire di fronte a questi abusi di scisma strisciante molto più gravi
di tanti, pur deplorevoli, abusi liturgici da parte di comunità che usano il Messale
del Concilio Vaticano II.
Il mio padre spirituale è stato ordinato già vedovo, ultracinquantenne, appena iniziato il Concilio Vaticano II. Aveva 60 anni al momento dell’introduzione del nuovo Messale: una lunga vita con la Messa tridentina, da fedele e da celebrante. La sua formazione teologica da seminarista, era tutta preconciliare. Poteva essere difficile adattarsi, per lui e per le Clarisse di Algeri. Al momento di celebrare per la prima volta con il Nuovo Messale, si inginocchiarono insieme e fecero un atto di fede nella Chiesa. Quando l'ho conosciuto, non aveva nessun problema con il Messale in francese frutto del Concilio. Un giorno sentì Kiko Arguello dire davanti a 400 preti: “Siate tranquilli, noi obbediremo sempre alla Chiesa. Nel Cammino neocatecumenale, abbiamo fatto tante ricerche per arrivare al nostro modo di celebrare, ma se la Chiesa ci toglie le concessioni che ci ha donato, obbediremo, se la Chiesa ci chiede di celebrare in latino, lo faremo”. Questo è quello che manca a chi si arrocca sulla Messa tridentina: la fede. E anche spesso la buona fede. Chi finora ha usato del permesso di celebrare la messa tridentina, lo ha fatto dichiarando di riconoscere «il Messale promulgato da Paolo VI (come) la espressione ordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino»[7]. e di accettare « chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II ed (essere) fedeli al Papa e ai Vescovi»[9]. Inoltre, la condizione per partecipare a tali messe è di avere una conoscenza del latino tale da poter comprendere pienamente i testi e le preghiere. Quanto dichiarato con le labbra da alcuni non corrispondeva ad una convinzione intima, né era trasmesso ai fedeli, ma spesso il contrario. Lo vedo molto bene anche qui attorno dalle affermazioni di alcuni.
Papa
Francesco nel suo Motu Proprio e nella lettera di accompagnamento è limpido sul
vero senso della Tradizione e della fede nella Chiesa come Corpo di Cristo assistito
dal suo Spirito. Bisogna anche notare che la Messa che celebriamo ogni giorno,
oltre a metterci in comunione con la Chiesa e i legittimi Pastori, è molto più vicina nelle sue forme a quelle delle
prime comunità cristiane che quella tridentina.
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