Papa Francesco ha firmato ieri, festa della Madonna del
Carmine, un Motu Proprio che restringe l’uso del Messale preconciliare, la
cosiddetta “Messa in Latino”. Nella lettera di presentazione, che pubblico sotto, egli spiega le
motivazioni di questa decisione che sono semplici ma molto importanti per la nostra formazione di cristiani. La
contraddizione che sembra apparire tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI con questa
decisione di papa Francesco si risolve molto facilmente guardando alle motivazioni
di questi tre Papi che sono le stesse: ricomporre l’unità della Chiesa accompagnando
le persone con sensibilità diverse. Siccome però il tentativo dei due Papi
precedenti invece di riavvicinare le persone all’unità della Chiesa e al Magistero
del Concilio (“la più grande grazia spirituale ricevuta dalla Chiesa nel ventesimo
secolo” disse Giovanni Paolo II) è stato quasi ovunque strumentalizzato da gruppetti e da singoli preti, per formare una Chiesa parallela,
anticonciliare, è diventato necessario interrompere questo tentativo fallito. Possano
tutti comprenderlo!
LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI VESCOVI DI TUTTO IL MONDO PER PRESENTARE
IL MOTU PROPRIO «TRADITIONIS CUSTODES»
SULL’USO DELLA LITURGIA ROMANA
ANTERIORE ALLA RIFORMA DEL 1970
Roma, 16
luglio 2021
Cari Fratelli nell’Episcopato,
come già il mio Predecessore Benedetto XVI fece con Summorum Pontificum, anch’io intendo
accompagnare il Motu proprio Traditionis custodes con una lettera,
per illustrare i motivi che mi hanno spinto a questa decisione. Mi rivolgo a
Voi con fiducia e parresia, in nome di quella condivisione nella «sollecitudine
per tutta la Chiesa, che sommamente contribuisce al bene della Chiesa
universale», come ci ricorda il Concilio Vaticano II [1].
Sono evidenti a tutti i motivi che hanno mosso san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità
di usare il Messale Romano promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962, per la
celebrazione del Sacrificio eucaristico. La facoltà, concessa con indulto della
Congregazione per il Culto Divino nel 1984 [2] e
confermata da san Giovanni Paolo II nel Motu proprio Ecclesia Dei del 1988 [3],
era soprattutto motivata dalla volontà di favorire la ricomposizione dello
scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre. La richiesta, rivolta ai
Vescovi, di accogliere con generosità le «giuste aspirazioni» dei fedeli che
domandavano l’uso di quel Messale, aveva dunque una ragione ecclesiale di
ricomposizione dell’unità della Chiesa.
Quella facoltà venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI. Per regolare tale situazione, Benedetto XVI intervenne sulla questione a distanza di molti anni, regolando un fatto interno alla Chiesa, in quanto molti sacerdoti e molte comunità avevano «utilizzato con gratitudine la possibilità offerta dal Motu proprio» di san Giovanni Paolo II. Sottolineando come questo sviluppo non fosse prevedibile nel 1988, il Motu proprio Summorum Pontificum del 2007 intese introdurre in materia «un regolamento giuridico più chiaro» [4]. Per favorire l’accesso a quanti – anche giovani –, «scoprono questa forma liturgica, si sentono attirati da essa e vi trovano una forma particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia» [5], Benedetto XVI dichiarò «il Messale promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII come espressione straordinaria della stessa lex orandi», concedendo una «più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962» [6].
A sostenere la sua scelta era la convinzione che il tale
provvedimento non avrebbe messo in dubbio una delle decisioni essenziali
del Concilio Vaticano II, intaccandone in tal modo
l’autorità: il Motu proprio riconosceva a pieno titolo che «il Messale
promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della
lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino» [7].
Il riconoscimento del Messale promulgato da san Pio V «come espressione
straordinaria della stessa lex orandi» non voleva in alcun modo misconoscere la
riforma liturgica, ma era dettato dalla volontà di venire incontro alle
«insistenti preghiere di questi fedeli», concedendo loro di «celebrare il
Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato
dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato,
come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa» [8].
Lo confortava nel suo discernimento il fatto che quanti desideravano «trovare
la forma, a loro cara, della sacra Liturgia», «accettavano chiaramente il
carattere vincolante del Concilio Vaticano II ed erano fedeli al
Papa e ai Vescovi» [9].
Dichiarava inoltre infondato il timore di spaccature nelle comunità
parrocchiali, perché «le due forme dell’uso del Rito Romano avrebbero potuto
arricchirsi a vicenda» [10].
Perciò invitava i Vescovi a superare dubbi e timori e a ricevere le norme,
«vigilando affinché tutto si svolga in pace e serenità», con la promessa che
«si potevano cercare vie per trovare rimedio», nel caso fossero «venute alla
luce serie difficoltà» nell’applicazione della normativa dopo «l’entrata in
vigore del Motu proprio» [11].
A distanza di tredici anni ho incaricato la Congregazione per la
Dottrina della Fede di inviarVi un questionario sull’applicazione del Motu
proprio Summorum Pontificum. Le risposte pervenute
hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi
nella necessità di intervenire. Purtroppo l’intento pastorale dei miei
Predecessori, i quali avevano inteso «fare tutti gli sforzi, affinché a tutti
quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di
restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente» [12],
è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità
ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre
l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è
stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire
contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola
al rischio di divisioni.
Mi addolorano allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra
nella celebrazione della liturgia. Al pari di Benedetto XVI, anch’io stigmatizzo che «in
molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale,
ma esso addirittura venga inteso come un’autorizzazione o perfino come un
obbligo alla creatività, la quale porta spesso a deformazioni al limite del
sopportabile» [13].
Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962,
sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma
liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione
infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”.
Se è vero che il cammino della Chiesa va compreso nel dinamismo della
Tradizione, «che trae origine dagli Apostoli e che progredisce nella Chiesa
sotto l’assistenza dello Spirito Santo» (DV 8), di questo dinamismo il Concilio Vaticano II costituisce la tappa
più recente, nella quale l’episcopato cattolico si è posto in ascolto per
discernere il cammino che lo Spirito indicava alla Chiesa. Dubitare del
Concilio significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno
esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro
nel concilio ecumenico [14],
e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa.
Proprio il Concilio Vaticano II illumina il senso
della scelta di rivedere la concessione permessa dai miei Predecessori. Tra i
vota che i Vescovi hanno indicato con più insistenza emerge quello della piena,
consapevole e attiva partecipazione di tutto il Popolo di Dio alla
liturgia [15],
in linea con quanto già affermato da Pio
XII nell’enciclica Mediator Dei sul rinnovamento della
liturgia [16].
La costituzione Sacrosanctum Concilium ha confermato
questa richiesta, deliberando circa «la riforma e l’incremento della
liturgia» [17],
indicando i principi che dovevano guidare la riforma [18] .
In particolare, ha stabilito che quei principi riguardavano il Rito Romano,
mentre per gli altri riti legittimamente riconosciuti, chiedeva che fossero
«prudentemente riveduti in modo integrale nello spirito della sana tradizione e
venga dato loro nuovo vigore secondo le circostanze e le necessità del
tempo» [19].
Sulla base di questi principi è stata condotta la riforma liturgica, che ha la
sua espressione più alta nel Messale Romano, pubblicato in editio typica da
san Paolo VI [20] e
riveduto da san Giovanni Paolo II [21].
Si deve perciò ritenere che il Rito Romano, più volte adattato lungo i secoli
alle esigenze dei tempi, non solo sia stato conservato, ma rinnovato «in fedele
ossequio alla Tradizione» [22].
Chi volesse celebrare con devozione secondo l’antecedente forma liturgica non
stenterà a trovare nel Messale Romano riformato secondo la mente del Concilio Vaticano II tutti gli elementi
del Rito Romano, in particolare il canone romano, che costituisce uno degli
elementi più caratterizzanti.
Un’ultima ragione voglio aggiungere a fondamento della mia scelta:
è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta
relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti
al Concilio Vaticano II e il rifiuto della
Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la “vera
Chiesa”. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione,
alimentando quella spinta alla divisione – «Io sono di Paolo; io invece sono di
Apollo; io sono di Cefa; io sono di Cristo» –, contro cui ha reagito fermamente
l’Apostolo Paolo [23].
È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la
facoltà concessa dai miei Predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è
contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la
Messa con il Missale Romanum del 1962. Poiché «le celebrazioni liturgiche
non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento di
unità”» [24],
devono essere fatte in comunione con la Chiesa. Il Concilio Vaticano II, mentre ribadiva i vincoli
esterni di incorporazione alla Chiesa – la professione della fede, dei
sacramenti, della comunione –, affermava con sant’Agostino che è condizione per
la salvezza rimanere nella Chiesa non solo “con il corpo”, ma anche “con il
cuore” [25].
Cari fratelli nell’Episcopato, Sacrosanctum Concilium spiegava che
la Chiesa «sacramento di unità» è tale perché è «Popolo santo adunato e
ordinato sotto l’autorità dei Vescovi» [26]. Lumen gentium, mentre ricorda al Vescovo
di Roma di essere «perpetuo e visibile principio e fondamento di unità sia dei
vescovi, sia della moltitudine dei fedeli», dice che Voi siete «visibile
principio e fondamento di unità nelle vostre Chiese locali, nelle quali e a
partire dalle quali esiste l’una e unica Chiesa cattolica» [27].
Rispondendo alle vostre richieste, prendo la ferma decisione di
abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini
precedenti al presente Motu Proprio, e di ritenerei libri liturgici promulgati
dai santi Pontefici Paolo
VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti
del Concilio Vaticano II, come l’unica espressione
della lex orandi del Rito Romano. Mi conforta in questa decisione il fatto che,
dopo il Concilio di Trento, anche san Pio V abrogò tutti i riti che non
potessero vantare una comprovata antichità, stabilendo per tutta la Chiesa
latina un unico Missale Romanum. Per quattro secoli questo Missale Romanum
promulgato da san Pio V è stato così la principale espressione della lex orandi
del Rito Romano, svolgendo una funzione di unificazione nella Chiesa. Non per
contraddire la dignità e grandezza di quel Rito i Vescovi riuniti in concilio
ecumenico hanno chiesto che fosse riformato; il loro intento era che «i fedeli
non assistessero come estranei o muti spettatori al mistero di fede, ma, con
una comprensione piena dei riti e delle preghiere, partecipassero all’azione
sacra consapevolmente, piamente e attivamente» [28].
San Paolo VI, ricordando che l’opera di adattamento
del Messale Romano era già stata iniziata da Pio
XII, dichiarò che la revisione del Messale Romano, condotta alla
luce delle più antiche fonti liturgiche, aveva come scopo di permettere alla
Chiesa di elevare, nella varietà delle lingue, «una sola e identica preghiera»
che esprimesse la sua unità [29].
Questa unità intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano.
Il Concilio Vaticano II, descrivendo la
cattolicità del Popolo di Dio, rammenta che «nella comunione ecclesiale
esistono le Chiese particolari, che godono di tradizioni proprie, salvo
restando il primato della cattedra di Pietro che presiede alla comunione
universale della carità, garantisce le legittime diversità e insieme vigila
perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la
serva» [30].
Mentre, nell’esercizio del mio ministero al servizio dell’unità, assumo la
decisione di sospendere la facoltà concessa dai miei Predecessori, chiedo a Voi
di condividere con me questo peso come forma di partecipazione alla
sollecitudine per tutta la Chiesa. Nel Motu proprio ho voluto affermare come
spetti al Vescovo, quale moderatore, promotore e custode della vita liturgica
nella Chiesa di cui è principio di unità, regolare le celebrazioni liturgiche.
Spetta perciò a Voi autorizzare nelle vostre Chiese, in quanto Ordinari del
luogo, l’uso del Messale Romano del 1962, applicando le norme del presente Motu
proprio. Spetta soprattutto a Voi operare perché si torni a una forma celebrativa
unitaria, verificando caso per caso la realtà dei gruppi che celebrano con
questo Missale Romanum.
Le indicazioni su come procedere nelle diocesi sono principalmente
dettate da due principi: provvedere da una parte al bene di quanti si sono
radicati nella forma celebrativa precedente e hanno bisogno di tempo per
ritornare al Rito Romano promulgato dai santi Paolo
VI e Giovanni Paolo II; interrompere dall’altra
l’erezione di nuove parrocchie personali, legate più al desiderio e alla
volontà di singoli presbiteri che al reale bisogno del «santo Popolo fedele di
Dio». Al contempo Vi chiedo di vigilare perché ogni liturgia sia celebrata con
decoro e fedeltà ai libri liturgici promulgati dopo il Concilio Vaticano II, senza eccentricità che
degenerano facilmente in abusi. A questa fedeltà alle prescrizioni del Messale
e ai libri liturgici, in cui si rispecchia la riforma liturgica voluta
dal Concilio Vaticano II, siano educati i
seminaristi e i nuovi presbiteri.
Per Voi invoco dal Signore Risorto lo Spirito, perché vi renda
forti e fermi nel servizio al Popolo che il Signore vi ha affidato, perché per
la vostra cura e vigilanza esprima la comunione anche nell’unità di un solo
Rito, nel quale è custodita la grande ricchezza della tradizione liturgica
romana. Io prego per voi. Voi pregate per me.
FRANCESCO
__________________________________
[1] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm.
Sulla Chiesa “ Lumen gentium”, 21 novembre 1964, n. 23:
AAS 57 (1965) 27.
[2] Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CULTO
DIVINO, Lettera ai Presidenti delle Conferenze Episcopali “Quattuor abhinc
annos”, 3 ottobre 1984: AAS 76 (1984) 1088-1089.
[3] GIOVANNI PAOLO II, Litt. Ap. Motu
proprio datae “ Ecclesia Dei”, 2 luglio 1988: AAS 80 (1998)
1495-1498.
[4] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani,
7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.
[5] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani,
7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.
[6] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani,
7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 797.
[7] BENEDETTO XVI, Litt. Ap. Motu proprio
datae “ Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007: AAS 99
(2007) 779.
[8] BENEDETTO XVI, Litt. Ap. Motu proprio
datae “ Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007: AAS 99
(2007) 779.
[9] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani,
7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.
[10] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani,
7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 797.
[11] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani,
7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 798.
[12] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani,
7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 797-798.
[13] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani,
7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.
[14] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa “ Lumen gentium”, 21 novembre 1964, n. 23:
AAS 57 (1965) 27.
[15] Cfr. ACTA ET DOCUMENTA
CONCILIO OECUMENICO VATICANO II APPARANDO, Series I, Volumen II, 1960.
[16] PIO XII, Litt. Encyc. “ Mediator Dei et hominum”, 20 novembre 1947:
AAS 39 (1949) 521-595.
[17] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla
sacra liturgia “ Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963,
nn. 1, 14: AAS 56 (1964) 97.104.
[18] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla
sacra liturgia “ Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963, n.
3: AAS 56 (1964) 98.
[19] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla
sacra liturgia “ Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963,
n. 4: AAS 56 (1964) 98.
[20] MISSALE ROMANUM ex decreto
Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP.
VI promulgatum, editio typica, 1970.
[21] MISSALE ROMANUM ex decreto
Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP.
VI promulgatum Ioannis Pauli PP. II cura recognitum, editio typica altera,
1975; editio typica tertia, 2002; (reimpressio emendata, 2008).
[22] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla
sacra liturgia “ Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963, n.
3: AAS 56 (1964) 98.
[23] 1Cor 1,12-13.
[24] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla
sacra liturgia “ Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963,
n. 26: AAS 56 (1964) 107.
[25] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm.
Sulla Chiesa “ Lumen gentium” 21 novembre 1964, n. 14:
AAS 57 (1965) 19.
[26] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla
sacra liturgia “ Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963,
n. 6: AAS 56 (1964) 100.
[27] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm.
Sulla Chiesa “ Lumen gentium”, 21 novembre 1964, n. 23:
AAS 57 (1965) 27.
[28] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla
sacra liturgia “ Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963,
n. 48: AAS 56 (1964) 113.
[29] PAOLO VI, Costituzione
apostolica Missale Romanum (3 aprile 1969), AAS
61 (1969) 222.
[30] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost.
dogm. Sulla Chiesa “ Lumen gentium”, 21 novembre 1964, n. 13:
AAS 57 (1965) 18.
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