268. «Gli
argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne
ha opportunamente sottolineato alcuni, come la possibilità dell’esistenza dell’errore
giudiziario, e l’uso che di tale pena fanno i regimi totalitari e dittatoriali,
che la utilizzano come strumento di soppressione della dissidenza politica o di
persecuzione delle minoranze religiose e culturali, tutte vittime che per le
loro rispettive legislazioni sono “delinquenti”. Tutti i cristiani e gli uomini
di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione
della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma
anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della
dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con
l’ergastolo. […] L’ergastolo è una pena di morte nascosta».[257]
269. Ricordiamo
che «neppure l’omicida perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa
garante».[258] Il
fermo rifiuto della pena di morte mostra fino a che punto è possibile
riconoscere l’inalienabile dignità di ogni essere umano e ammettere che abbia
un suo posto in questo mondo. Poiché, se non lo nego al peggiore dei criminali,
non lo negherò a nessuno, darò a tutti la possibilità di condividere con me
questo pianeta malgrado ciò che possa separarci.
270. I cristiani
che dubitano e si sentono tentati di cedere a qualsiasi forma di violenza, li
invito a ricordare l’annuncio del libro di Isaia: «Spezzeranno le loro spade e
ne faranno aratri» (2,4). Per noi questa profezia prende carne in Gesù Cristo,
che di fronte a un discepolo eccitato dalla violenza disse con fermezza:
«Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada,
di spada moriranno» (Mt 26,52). Era un’eco di quell’antico
ammonimento: «Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo
fratello. Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso»
(Gen 9,5-6). Questa reazione di Gesù, che uscì spontanea dal suo
cuore, supera la distanza dei secoli e giunge fino a oggi come un costante
richiamo.
[258] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), 9: AAS 87 (1995), 411.
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