266. Le paure e
i rancori facilmente portano a intendere le pene in modo vendicativo, quando
non crudele, invece di considerarle come parte di un processo di guarigione e
di reinserimento sociale. Oggi, «tanto da alcuni settori della politica come da
parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla
vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver
commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato
o meno, di aver infranto la legge. […]
C’è la tendenza a costruire
deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in sé stesse
tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come
minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che,
a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste».[255] Ciò
ha reso particolarmente rischiosa l’abitudine sempre più presente in alcuni
Paesi di ricorrere a carcerazioni preventive, a reclusioni senza giudizio e
specialmente alla pena di morte.
267. Desidero
sottolineare che «è impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano
disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere
dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone». Particolare gravità
rivestono le cosiddette esecuzioni extragiudiziarie o extralegali, che «sono
omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti, spesso fatti
passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate
dell’uso ragionevole, necessario e proporzionato della forza per far applicare
la legge».[256]
[255] Discorso alla delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto
Penale (23 ottobre 2014): AAS 106
(2014), 840-841.
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