Nei giorni scorsi il Cardinale R. Marx ha presentato le sue dimissioni da
vescovo di Monaco, in Germania. La Notizia ha fatto rumore perché il Cardinal
Marx è stato Vicepresidente (2009-2012), poi Presidente
della Commissione delle
conferenze episcopali della Comunità Europea (2012-2018), e Presidente
dei vescovi tedeschi (2014-2020), e perché il motivo delle sue dimissioni è un’assunzione
di responsabilità personale e istituzionale, come vescovo e al riguardo degli
incarichi ricoperti, per l’insufficienza della risposta data di fronte alla catastrofe
degli abusi sessuali.
Papa Francesco ha respinto le sue dimissioni con motivazioni impostate sulla Scrittura. Già la prima frase del Papa colpisce. Dice che Cristo, di fronte alla tremenda realtà del peccato, ha scelto di umiliarsi, rimandando a Filippesi 2,5-8: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. Vedi il passo intero: Filippesi 2, 1-11).
Ci farà bene leggere tutta la lettera del Papa.
LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AL CARDINALE REINHARD MARX,
ARCIVESCOVO DI MONACO E FRISINGA
Santa Marta, 10 giugno 2021
Caro fratello, prima di tutto grazie
per il tuo coraggio. È un coraggio cristiano che non teme la croce, non teme di
umiliarsi di fronte alla tremenda realtà del peccato. Così ha fatto il Signore
(Fil 2, 5-8). È una grazia che il Signore ti ha dato e vedo che tu
la vuoi accettare e custodire perché dia frutto. Grazie.
Mi dici che stai attraversando un momento di crisi, e non solo tu, ma anche la Chiesa in Germania lo sta vivendo. Tutta la Chiesa sta in crisi a causa della questione degli abusi; ancora di più, la Chiesa oggi non può compiere un passo avanti senza accettare questa crisi. La politica dello struzzo non porta a niente, e la crisi deve essere accettata a partire dalla nostra fede pasquale. I sociologismi, gli psicologismi, non servono. Accettare la crisi, personale e comunitaria, è l’unico cammino fecondo perché da una crisi non si esce da soli ma in comunità, e inoltre dobbiamo tener conto che da una crisi si esce o migliori o peggiori, ma mai uguali [1].
Mi dici che dallo scorso anno stai
riflettendo: ti sei messo in cammino, ricercando la volontà di Dio con la
decisione di accettarla qualunque essa sia.
Sono d’accordo con te nel definire
catastrofe la triste storia degli abusi sessuali e il modo di affrontarla che
ha adottato la Chiesa fino a poco tempo fa. Rendersi conto di questa ipocrisia
nel modo di vivere la fede è una grazia, è un primo passo che dobbiamo
compiere. Dobbiamo farci carico della storia, sia personalmente sia
comunitariamente. Non si può rimanere indifferenti dinanzi a questo crimine.
Accettarlo presuppone entrare in crisi.
Non tutti vogliono accettare questa
realtà, ma è l’unico cammino, perché fare “propositi” di cambiamento di vita
senza “mettere la carne sulla brace” non porta a nulla. Le realtà personali,
sociali e storiche sono concrete e non devono accettarsi con idee; perché le
idee si discutono (ed è bene che sia così), ma la realtà deve essere sempre
accettata ed esaminata. È vero che le situazioni storiche devono essere
interpretate con l’ermeneutica dell’epoca in cui sono avvenute, ma questo non
ci esime dal farcene carico e dall’accettarle come storia del “peccato che ci
assedia”. Pertanto, a mio giudizio, ogni Vescovo della Chiesa deve accettarlo e
domandarsi: che devo fare di fronte a questa catastrofe?
Il “mea culpa” davanti a tanti errori
storici del passato lo abbiamo fatto più di una volta dinanzi a molte
situazioni anche se non abbiamo partecipato di persona a quella congiuntura
storica. E questo stesso atteggiamento ci viene chiesto oggi. Ci viene chiesta
una riforma, che — in questo caso — non consiste in parole, ma in atteggiamenti
che abbiano il coraggio di entrare in crisi, di accettare la realtà qualunque
sia la conseguenza. E ogni riforma comincia da sé stessi. La riforma nella
Chiesa l’hanno fatta uomini e donne che non hanno avuto paura di entrare in
crisi e lasciarsi riformare dal Signore. È l’unico cammino, altrimenti non
saremo altro che “ideologi di riforme” che non mettono in gioco la propria
carne.
Il Signore non ha mai accettato di
fare “la riforma” (mi si permetta l’espressione) né con il progetto fariseo, né
con quello sadduceo o zelota o esseno. Ma l’ha fatta con la sua vita, con la
sua storia, con la sua carne sulla croce. E questo è il cammino, quello che tu,
caro fratello, accetti nel presentare la rinuncia.
Dici bene nella tua lettera che
seppellire il passato non ci porta a nulla. I silenzi, le omissioni, il dare
troppo peso al prestigio delle istituzioni conducono solo al fallimento
personale e storico, e ci portano a vivere con il peso di “avere scheletri
nell’armadio”, come recita il detto.
È urgente “esaminare” questa realtà
degli abusi e di come ha proceduto la Chiesa, e lasciare che lo Spirito ci
conduca al deserto della desolazione, alla croce e alla risurrezione. È il
cammino dello Spirito quello che dobbiamo seguire, e il punto di partenza è la
confessione umile: ci siamo sbagliati, abbiamo peccato. Non ci salveranno le
inchieste né il potere delle istituzioni. Non ci salverà il prestigio della
nostra Chiesa che tende a dissimulare i suoi peccati; non ci salverà né il
potere del denaro né l’opinione dei media (tante volte siamo troppo dipendenti
da questi). Ci salverà la porta dell’Unico che può farlo e confessare la nostra
nudità: “Ho peccato”, “abbiamo peccato”… e piangere e balbettare come possiamo
quell’“allontanati da me che sono un peccatore”, eredità che il primo Papa ha
lasciato ai Papi e ai Vescovi della Chiesa. E allora sentiremo quella vergogna
guaritrice che apre le porte alla compassione e alla tenerezza del Signore che
ci è sempre vicino. Come Chiesa dobbiamo chiedere la grazia della vergogna, e
che il Signore ci salvi dall’essere la prostituta spudorata di Ezechiele 16.
Mi piace come concludi la lettera:
«Continuerò con piacere ad essere prete e vescovo di questa Chiesa e continuerò
ad impegnarmi a livello pastorale sempre e comunque lo riterrà sensato ed
opportuno. Vorrei dedicare gli anni futuri del mio servizio in maniera più
intensa alla cura pastorale e impegnarmi per un rinnovamento spirituale della
Chiesa, così come Lei instancabilmente ammonisce».
E questa è la mia risposta, caro
fratello. Continua quanto ti proponi, ma come Arcivescovo di Monaco e Frisinga.
E se ti viene la tentazione di pensare che, nel confermare la tua missione e
nel non accettare la tua rinuncia, questo Vescovo di Roma (fratello tuo che ti
vuole bene) non ti capisce, pensa a quello che sentì Pietro davanti al Signore
quando, a modo suo, gli presentò la rinuncia: “allontanati da me che sono un
peccatore”, e ascolta la risposta: “Pasci le mie pecorelle”.
Con affetto fraterno,
Francesco
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[1] C’è il pericolo di non accettare la crisi e di rifugiarsi
nei conflitti, atteggiamento che finisce col soffocare e impedire ogni
possibile trasformazione. Poiché la crisi possiede un germe di speranza, il
conflitto — al contrario — di disperazione; la crisi coinvolge… il conflitto —
invece — ci imprigiona e provoca l’atteggiamento asettico di Pilato: «Io sono
innocente di questo sangue; pensateci voi» (Mt 27, 24) … che tanto
male ci ha fatto e ci fa.
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da L'Osservatore Romano,
Anno CLXI n. 129, giovedì 10 giugno 2021.
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