Visualizzazioni totali

mercoledì 27 ottobre 2021

QUANDO LO STATO VUOLE TOGLIERE IL SEGRETO DI CONFESSIONE.

 



Con il recente rapporto sugli abusi sessuali nella Chiesa francese si è di nuovo parlato del segreto della confessione che, per lo Stato francese sarebbe solo un segreto professionale e come tale non inviolabile: nel caso in cui qualcuno si accusasse di peccati di pedofilia, il prete dovrebbe denunciarlo. La Francia non è l’unico caso. Si discute aspramente e si vorrebbe rimettere in discussione il segreto della confessione anche in Australia, Cile, Belgio, Germania.

Ma a chi gioverebbe? Facciamo alcune considerazioni sulle motivazioni che rendono indispensabile il segreto di confessione.

Il segreto nella confessione in forma personale è sempre stato protetto dalla Chiesa.

Nella Nota della Penitenzieria apostolica del 1° luglio 2019 si legge: «Recentemente, parlando del sacramento della riconciliazione, il santo padre Francesco ha voluto ribadire l’indispensabilità e l’indisponibilità del sigillo sacramentale. “La riconciliazione stessa è un bene che la sapienza della Chiesa ha sempre salvaguardato con tutta la propria forza morale e giuridica con il sigillo sacramentale. Esso, anche se non sempre compreso dalla mentalità moderna, è indispensabile per la santità del sacramento e per la libertà di coscienza del penitente; il quale deve essere certo, in qualunque momento, che il colloquio sacramentale resterà nel segreto della confessione, tra la propria coscienza che si apre alla grazia di Dio, e la mediazione necessaria del sacerdote. Il sigillo sacramentale è indispensabile e nessun potere umano ha giurisdizione, né può rivendicarla, su di esso”».

«Ogni penitente che umilmente si rechi dal sacerdote per confessare i propri peccati, testimonia così il grande mistero dell’incarnazione e l’essenza soprannaturale della Chiesa e del sacerdozio ministeriale, per mezzo del quale Cristo risorto viene incontro agli uomini, tocca – cioè realmente – la loro vita e li salva. Per tale ragione, la difesa del sigillo sacramentale da parte del confessore, se fosse necessario usque ad sanguinis effusionem, (fino all'effusione del sangue) rappresenta non solo un atto di doverosa lealtà nei confronti del penitente, ma molto più: una necessaria testimonianza – un martirio – resa direttamente all’unicità e all’universalità salvifica di Cristo e della Chiesa». La rimozione del segreto è un’offesa alla libertà della Chiesa, una violazione della libertà religiosa e della libertà di coscienza.

Il sacerdote è solo un tramite tra Dio e il penitente. La confessione non è un atto solo umano ma trascende l’umano.

 

Sarebbe controproducente per la protezione dei minori (e della Società in generale) togliere il segreto della confessione.

Un pedofilo non confesserà mai gli abusi commessi se sa che la confessione sarà riportata alle autorità investigative. La vittima di abusi ricorre alla confessione perché non vuole che sia divulgato il fatto, altrimenti andrebbe direttamente a porgere denuncia o, come succede, parlerebbe in un contesto diverso di quello della confessione. In un caso come nell’altro invece, il segreto della confessione crea quello spazio di ascolto e di dialogo in cui si può anche consigliare la persona a denunciarsi, a denunciare, a parlare con altri che possono aiutare in un percorso liberatorio. Inoltre l’attore degli abusi in generale non avverte la gravità del suo gesto e difficilmente lo confessa. L’esperienza comune conferma che a noi preti non capita di ricevere tali confessioni. È vero che chi utilizza il segreto della confessione per coprire dei crimini è ingiustificabile. Per evitare ogni strumentalizzazione da parte di chi ha commesso un peccato, quando ero alle medie con i Padri di Bétharram, potevamo confessarci con il padre di nostra scelta tranne che con il “Prefetto di Disciplina” che, in casi di furto tra alunni per esempio, avrebbe cercato il colpevole e non poteva essere legato dal segreto di confessione.

 

Il segreto della confessione non può favorire la pedofilia o qualsiasi peccato.

Il Concilio di Trento chiama la confessione “battesimo laborioso” o battesimo delle lacrime. Dopo il battesimo, col peccato ho tradito l’Alleanza sancita con Dio e la sua grazia. Confessarmi significa allora volermi convertire. Nella disciplina antica, il peccatore pubblico (che aveva fatto un peccato molto grave conosciuto da tutti) veniva riammesso alla comunione con la Comunità solo dopo aver fatto “opere degne della conversione” come dice Giovanni Battista alle folle che vengono a lui (Luca 3,8). Sant’Alfonso de’ Liguori consiglia ai confessori di non dare l’assoluzione al ladro prima che costui abbia restituito il maltolto perché, spiega con un’espressione meravigliosa: “se ci vuole la grazia per confessare il furto, la roba è un certo qual sangue delle vene che ci vuole più grazia ancora per cavarselo”. Nel segreto della confessione, il confessore, con prudenza e misericordia, ha il dovere di consigliare il penitente e indurlo alla conversione, altrimenti non compie la sua missione secondo il volere di Dio e, probabilmente, la confessione rimarrà con scarso frutto. Infatti “una delle ragioni del sacramento è proprio quella di far uscire il penitente dal segreto” dice il liturgista Andrea Grillo. Il confessore è tenuto al segreto, il penitente no. Anzi, la confessione lo aiuta ad affrontare le sue responsabilità e la vita con gli altri, sapendo di non essere più da solo ma con Dio e la Chiesa come alleati.

 

Hanna Arendt ha ammonito a diffidare di una società che pretende totale trasparenza. È un segnale del totalitarismo.

La Civiltà occidentale è fondata sul “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Chiaramente questa dialettica tra il civile e il sacro significa spesso scontro tra sfera politica e realtà ecclesiale, ma è una dialettica creativa, portatrice di libertà e innovazione. Se una delle due dovesse sopraffare l’altra, sarebbe la morte della nostra Civiltà.

 

Nessun commento:

Posta un commento