Non più politiche sociali "per " i poveri, ma "con" e "dei" poveri. |
168. Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte
vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un
pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a
qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale,
ricorrendo alla magica teoria del “traboccamento” o del “gocciolamento” – senza
nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali. Non ci si accorge
che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di nuove
forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una parte è
indispensabile una politica economica attiva, orientata a «promuovere
un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività
imprenditoriale»,[140] perché
sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione
finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare
strage. D’altra parte, «senza forme interne di solidarietà e di fiducia
reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione
economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare».[141] La
fine della storia non è stata tale, e le ricette dogmatiche della teoria
economica imperante hanno dimostrato di non essere infallibili. La fragilità
dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si
risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana
non sottomessa al dettato della finanza, «dobbiamo rimettere la dignità umana
al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative
di cui abbiamo bisogno».[142]
169. In certe visioni economicistiche chiuse e
monocromatiche, sembra che non trovino posto, per esempio, i movimenti popolari
che aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri che non
rientrano facilmente nei canali già stabiliti. In realtà, essi danno vita a
varie forme di economia popolare e di produzione comunitaria. Occorre pensare
alla partecipazione sociale, politica ed economica in modalità tali «che
includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali,
nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal
coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune»; al tempo
stesso, è bene far sì «che questi movimenti, queste esperienze di solidarietà
che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più
coordinati, s’incontrino».[143] Questo,
però, senza tradire il loro stile caratteristico, perché essi sono «seminatori
di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e
grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia».[144] In
questo senso sono “poeti sociali”, che a modo loro lavorano, propongono,
promuovono e liberano. Con essi sarà possibile uno sviluppo umano integrale,
che richiede di superare «quell’idea delle politiche sociali concepite come una
politica verso i poveri, ma mai con i poveri,
mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che
riunisca i popoli».[145] Benché
diano fastidio, benché alcuni “pensatori” non sappiano come classificarli,
bisogna avere il coraggio di riconoscere che senza di loro «la democrazia si
atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va
disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la
dignità, nella costruzione del suo destino».[146]
[140] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015),
129: AAS 107 (2015), 899.
[141] Benedetto XVI,
Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009),
35: AAS 101 (2009), 670.
[142] Discorso ai
partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari (28 ottobre
2014): AAS 106 (2014), 858.
[144] Discorso ai partecipanti
all’Incontro mondiale dei movimenti popolari (5 novembre
2016): L’Osservatore Romano, 7-8 novembre 2016, pp. 4-5.
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