CAPITOLO TERZO
PENSARE E GENERARE UN MONDO APERTO
87. Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa
e non può trovare la propria pienezza «se non attraverso un dono sincero di
sé».[62] E
ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non
nell’incontro con gli altri: «Non comunico effettivamente con me stesso se non
nella misura in cui comunico con l’altro».[63] Questo
spiega perché nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti
concreti da amare. Qui sta un segreto dell’autentica esistenza umana, perché
«la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più
forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà. Al
contrario, non c’è vita dove si ha la pretesa di appartenere solo a sé stessi e
di vivere come isole: in questi atteggiamenti prevale la morte».[64]
Al di là
88. Dall’intimo di ogni cuore, l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando
fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro.[65] Siamo
fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi «una specie di legge di “estasi”:
uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere».[66] Perciò
«in ogni caso l’uomo deve pure decidersi una volta ad uscire d’un balzo da se
stesso».[67]
89. D’altra parte, non posso ridurre la mia vita alla relazione con un
piccolo gruppo e nemmeno alla mia famiglia, perché è impossibile capire me
stesso senza un tessuto più ampio di relazioni: non solo quello attuale ma
anche quello che mi precede e che è andato configurandomi nel corso della mia
vita. La mia relazione con una persona che stimo non può ignorare che quella
persona non vive solo per la sua relazione con me, né io vivo soltanto
rapportandomi con lei. La nostra relazione, se è sana e autentica, ci apre agli
altri che ci fanno crescere e ci arricchiscono. Il più nobile senso sociale
oggi facilmente rimane annullato dietro intimismi egoistici con l’apparenza di
relazioni intense. Invece, l’amore che è autentico, che aiuta a crescere, e le
forme più nobili di amicizia abitano cuori che si lasciano completare. Il
legame di coppia e di amicizia è orientato ad aprire il cuore attorno a sé, a
renderci capaci di uscire da noi stessi fino ad accogliere tutti. I gruppi
chiusi e le coppie autoreferenziali, che si costituiscono come un “noi”
contrapposto al mondo intero, di solito sono forme idealizzate di egoismo e di
mera autoprotezione.
90. Non è un caso che molte piccole popolazioni sopravvissute in zone
desertiche abbiano sviluppato una generosa capacità di accoglienza nei
confronti dei pellegrini di passaggio, dando così un segno esemplare del sacro
dovere dell’ospitalità. Lo hanno vissuto anche le comunità monastiche
medievali, come si riscontra nella Regola di San Benedetto. Benché potesse
disturbare l’ordine e il silenzio dei monasteri, Benedetto esigeva che i poveri
e i pellegrini fossero trattati «con tutto il riguardo e la premura possibili».[68] L’ospitalità
è un modo concreto di non privarsi di questa sfida e di questo dono che è
l’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo. Quelle persone
riconoscevano che tutti i valori che potevano coltivare dovevano essere
accompagnati da questa capacità di trascendersi in un’apertura agli altri.
[62] Conc. Ecum.
Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 24.
[63] Gabriel
Marcel, Du refus à l’invocation, ed. NRF, París 1940, 50 (ed. it. Dal
rifiuto all’invocazione, Città Nuova, Roma 1976, 62).
[64] Angelus (10 novembre
2019): L’Osservatore Romano, 11-12 novembre 2019, p. 8.
[65] Cfr S. Tommaso
d’Aquino, Scriptum super libros Sententiarum, III, Dist. 27, q. 1,
a. 1, ad 4: «Dicitur amor extasim facere, et fervere, quia quod fervet extra se
bullit, et exhalat».
[66] Karol
Wojtyła, Amore e responsabilità, Marietti, Casale Monferrato 1983,
90.
[67] Karl Rahner,
S.I., Kleines Kirchenjahr. Ein Gang durch den Festkreis, Herder,
Friburgo 1981, 30 (ed. it.
L’anno liturgico, Morcelliana, Brescia 1964, 34).
[68] Regula,
53, 15: «Pauperum et peregrinorum maxime susceptioni cura sollicite
exhibeatur».
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