Il prossimo senza frontiere
80. Gesù propose questa parabola per rispondere a una domanda: chi è il mio
prossimo? La parola “prossimo” nella società dell’epoca di Gesù indicava di
solito chi è più vicino, prossimo. Si intendeva che l’aiuto doveva rivolgersi
anzitutto a chi appartiene al proprio gruppo, alla propria razza. Un
samaritano, per alcuni giudei di allora, era considerato una persona
spregevole, impura, e pertanto non era compreso tra i vicini ai quali si doveva
dare aiuto. Il giudeo Gesù rovescia completamente questa impostazione: non ci
chiama a domandarci chi sono quelli vicini a noi, bensì a farci noi vicini,
prossimi.
81. La proposta è quella di farsi presenti alla persona bisognosa di aiuto,
senza guardare se fa parte della propria cerchia di appartenenza. In questo
caso, il samaritano è stato colui che si è fatto prossimo del
giudeo ferito. Per rendersi vicino e presente, ha attraversato tutte le barriere
culturali e storiche. La conclusione di Gesù è una richiesta: «Va’ e anche tu
fa’ così» (Lc 10,37). Vale a dire, ci interpella perché mettiamo da
parte ogni differenza e, davanti alla sofferenza, ci facciamo vicini a
chiunque. Dunque, non dico più che ho dei “prossimi” da aiutare, ma che mi
sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri.
82. Il problema è che, espressamente, Gesù mette in risalto che l’uomo ferito
era un giudeo – abitante della Giudea – mentre colui che si fermò e lo aiutò era
un samaritano – abitante della Samaria –. Questo particolare ha una grandissima
importanza per riflettere su un amore che si apre a tutti. I samaritani
abitavano una regione che era stata contaminata da riti pagani, e per i giudei
ciò li rendeva impuri, detestabili, pericolosi. Difatti, un antico testo
ebraico che menziona nazioni degne di disprezzo si riferisce a Samaria
affermando per di più che «non è neppure un popolo» (Sir 50,25), e
aggiunge che è «il popolo stolto che abita a Sichem» (v. 26).
83. Questo spiega perché una donna samaritana, quando Gesù le chiese da bere,
rispose enfaticamente: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che
sono una donna samaritana?» (Gv 4,9). Quelli che cercavano accuse
che potessero screditare Gesù, la cosa più offensiva che trovarono fu di dirgli
«indemoniato» e «samaritano» (Gv 8,48). Pertanto, questo incontro
misericordioso tra un samaritano e un giudeo è una potente provocazione, che
smentisce ogni manipolazione ideologica, affinché allarghiamo la nostra cerchia,
dando alla nostra capacità di amare una dimensione universale, in grado di
superare tutti i pregiudizi, tutte le barriere storiche o culturali, tutti gli
interessi meschini.
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