Visualizzazioni totali

mercoledì 24 novembre 2021

ASSISTENZA AL SUICIDIO

 


Il via libera al suicidio assistito di «Mario» è stata presentato dai Media come un progresso di civiltà. Di fronte alla sofferenza estrema di un uomo ho solo rispetto. Ma il contesto richiama purtroppo anche la minaccia della Cultura della morte di cui parlava già Papa Giovanni Paolo II. Credo sia opportuno leggere con attenzione la nota della Pontificia Accademia per la Vita in merito.

Due osservazioni previe: quasi tutti quelli che oggi rappresentano in Italia la Cultura di morte (eutanasia, aborto, utero in affitto, per non parlare della mentalità mafiosa e camorristica e via dicendo) sono stati battezzati nella Chiesa cattolica. Questi evidenziano quindi il fallimento della Pastorale sacramentale tradizionale. La lotta che alcuni, anche in questi ultimi anni, hanno fatto in difesa dei “valori cristiani” quasi solo a livello politico e legislativo è già fallita. Ma per principio una tale lotta è comunque destinata a fallire. La Chiesa per natura è un evento, e può aiutare solo in questo modo, come un fermento nella pasta, come comunità viva fondata sulla potenza della Risurrezione e la Grazia, e che segue quindi una logica alternativa allo spirito del mondo.

Italia. Assistenza al suicidio per un uomo tetraplegico

Nota della Pontificia Accademia per la Vita in merito alla vicenda legata all’assistenza al suicidio per un cittadino italiano

Città del Vaticano, 23 novembre 2021.- La materia delle decisioni di fine-vita costituisce un terreno delicato e controverso. La notizia del via libera al suicidio assistito ottenuto da «Mario» in seguito al parere del «Comitato etico territorialmente competente» sollecita alcune riflessioni. Non disponendo delle informazioni mediche precise sulla situazione clinica, occorre limitarsi a qualche rilievo generale.

Anzitutto è certamente comprensibile la sofferenza determinata da una patologia così inabilitante come la tetraplegia che per di più si protrae da lungo tempo: non possiamo in nessun modo minimizzare la gravità di quanto vissuto da “Mario”. Rimane tuttavia la domanda se la risposta più adeguata davanti a una simile provocazione sia di incoraggiare a togliersi la vita. La legittimazione “di principio” del suicidio assistito, o addirittura dell’omicidio consenziente, non pone proprio alcun interrogativo e contraddizione ad una comunità civile che considera reato grave l’omissione di soccorso, anche nei casi presumibilmente più disperati, ed è pronta a battersi contro la pena di morte, anche di fronte a reati ripugnanti? Confessare dolorosamente la propria eccezionale impotenza a guarire e riconoscersi il normale potere di sopprimere, non meritano linguaggi più degni per indicare la serietà del nostro giuramento di aver cura della nostra umanità vulnerabile, sofferente, disperata? Tutto quello che riusciamo ad esprimere è la richiesta di rendere normale il gesto della nostra reciproca soppressione?

Si pone, in altri termini, l’interrogativo – almeno l’interrogativo, se non altro per non perdere l’amore e l’onore del giuramento che sta al vertice di tutte le pratiche di cura – se non siano altre le strade da percorrere per una comunità che si rende responsabile della vita di tutti i suoi membri, favorendo così la percezione in ciascuno che la propria vita è significativa e ha un valore anche per gli altri. In tale linea, la strada più convincente ci sembra quella di un accompagnamento che assuma l’insieme delle molteplici esigenze personali in queste circostanze così difficili. È la logica delle cure palliative, che anche contemplano la possibilità di sospendere tutti i trattamenti che vengano considerati sproporzionati dal paziente, nella relazione che si stabilisce con l’équipe curante.

La vicenda solleva inoltre una domanda sul ruolo dei Comitati etici territoriali. Non si può escludere che la difficoltà della risposta sia stata determinata anche dalla difficoltà di chiarire il ruolo da svolgere. Infatti la dizione impiegata non è quella abituale (finora si è parlato di Comitati per la sperimentazione clinica di Comitati per l’etica clinica). Del resto, nella Sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 si richiede un compito che non corrisponde a quanto è previsto per entrambe le tipologie finora note: si tratta di operare un giudizio vincolante di conformità della particolare situazione clinica alle quattro condizioni stabilite dalla Sentenza della Corte Costituzionale. Un compito cioè che potrebbe più adeguatamente essere svolto da un comitato tecnico (medico-legale) che verifichi la sussistenza delle condizioni prescritte. Un comitato di etica potrebbe essere più correttamente coinvolto in una consultazione previa alla decisione del paziente.

Nessun commento:

Posta un commento