Il via
libera al suicidio assistito di «Mario» è stata presentato dai Media come un progresso
di civiltà. Di fronte alla sofferenza estrema di un uomo ho solo rispetto. Ma il contesto richiama purtroppo anche la minaccia della
Cultura della morte di cui parlava già Papa Giovanni Paolo II. Credo sia opportuno
leggere con attenzione la nota della Pontificia Accademia per la Vita in merito.
Due osservazioni previe: quasi tutti quelli che oggi rappresentano
in Italia la Cultura di morte (eutanasia, aborto, utero in affitto, per non parlare
della mentalità mafiosa e camorristica e via dicendo) sono stati battezzati nella
Chiesa cattolica. Questi evidenziano quindi il fallimento della Pastorale
sacramentale tradizionale. La lotta che alcuni, anche in questi ultimi anni, hanno
fatto in difesa dei “valori cristiani” quasi solo a livello politico e
legislativo è già fallita. Ma per principio una tale lotta è comunque destinata
a fallire. La Chiesa per natura è un evento, e può aiutare solo in questo modo,
come un fermento nella pasta, come comunità viva fondata sulla potenza della
Risurrezione e la Grazia, e che segue quindi una logica alternativa allo spirito
del mondo.
Italia. Assistenza al suicidio per un
uomo tetraplegico
Nota della
Pontificia Accademia per la Vita in merito alla vicenda legata all’assistenza
al suicidio per un cittadino italiano
Città del
Vaticano, 23 novembre 2021.- La materia delle decisioni di fine-vita
costituisce un terreno delicato e controverso. La notizia del via libera al
suicidio assistito ottenuto da «Mario» in seguito al parere del «Comitato etico
territorialmente competente» sollecita alcune riflessioni. Non disponendo delle
informazioni mediche precise sulla situazione clinica, occorre limitarsi a
qualche rilievo generale.
Anzitutto è certamente comprensibile la sofferenza determinata da una patologia così inabilitante come la tetraplegia che per di più si protrae da lungo tempo: non possiamo in nessun modo minimizzare la gravità di quanto vissuto da “Mario”. Rimane tuttavia la domanda se la risposta più adeguata davanti a una simile provocazione sia di incoraggiare a togliersi la vita. La legittimazione “di principio” del suicidio assistito, o addirittura dell’omicidio consenziente, non pone proprio alcun interrogativo e contraddizione ad una comunità civile che considera reato grave l’omissione di soccorso, anche nei casi presumibilmente più disperati, ed è pronta a battersi contro la pena di morte, anche di fronte a reati ripugnanti? Confessare dolorosamente la propria eccezionale impotenza a guarire e riconoscersi il normale potere di sopprimere, non meritano linguaggi più degni per indicare la serietà del nostro giuramento di aver cura della nostra umanità vulnerabile, sofferente, disperata? Tutto quello che riusciamo ad esprimere è la richiesta di rendere normale il gesto della nostra reciproca soppressione?
Si pone, in
altri termini, l’interrogativo – almeno l’interrogativo, se non altro per non
perdere l’amore e l’onore del giuramento che sta al vertice di tutte le
pratiche di cura – se non siano altre le strade da percorrere per una comunità
che si rende responsabile della vita di tutti i suoi membri, favorendo così la
percezione in ciascuno che la propria vita è significativa e ha un valore anche
per gli altri. In tale linea, la strada più convincente ci sembra quella di un
accompagnamento che assuma l’insieme delle molteplici esigenze personali in
queste circostanze così difficili. È la logica delle cure palliative, che anche
contemplano la possibilità di sospendere tutti i trattamenti che vengano
considerati sproporzionati dal paziente, nella relazione che si stabilisce con
l’équipe curante.
La vicenda
solleva inoltre una domanda sul ruolo dei Comitati etici territoriali. Non si
può escludere che la difficoltà della risposta sia stata determinata anche
dalla difficoltà di chiarire il ruolo da svolgere. Infatti la dizione impiegata
non è quella abituale (finora si è parlato di Comitati per la sperimentazione
clinica di Comitati per l’etica clinica). Del resto, nella Sentenza della Corte
Costituzionale n. 242/2019 si richiede un compito che non corrisponde a quanto
è previsto per entrambe le tipologie finora note: si tratta di operare un
giudizio vincolante di conformità della particolare situazione clinica alle
quattro condizioni stabilite dalla Sentenza della Corte Costituzionale. Un
compito cioè che potrebbe più adeguatamente essere svolto da un comitato
tecnico (medico-legale) che verifichi la sussistenza delle condizioni
prescritte. Un comitato di etica potrebbe essere più correttamente coinvolto in
una consultazione previa alla decisione del paziente.
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