41. In una realtà culturale come l’Amazzonia, dove esiste
una relazione così stretta dell’essere umano con la natura, l’esistenza
quotidiana è sempre cosmica. Liberare gli altri dalle loro schiavitù implica
certamente prendersi cura dell’ambiente e proteggerlo,[46] ma
ancor più aiutare il cuore dell’uomo ad aprirsi con fiducia a quel Dio che non
solo ha creato tutto ciò che esiste, ma ci ha anche donato sé stesso in Gesù
Cristo. Il Signore, che per primo ha cura di noi, ci insegna a prenderci cura
dei nostri fratelli e sorelle e dell’ambiente che ogni giorno Egli ci regala.
Questa è la prima ecologia di cui abbiamo bisogno. In Amazzonia si comprendono
meglio le parole di Benedetto XVI quando diceva che «accanto
all’ecologia della natura c’è un’ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a
sua volta richiede un’“ecologia sociale”. E ciò comporta che l'umanità […]
debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l’ecologia
naturale, ossia il rispetto della natura, e l’ecologia umana».[47] L’insistenza
sul fatto che «tutto è connesso»[48] vale
in modo speciale per un territorio come l’Amazzonia.
42. Se la cura delle persone e la cura degli ecosistemi sono
inseparabili, ciò diventa particolarmente significativo lì dove «la foresta non
è una risorsa da sfruttare, è un essere, o vari esseri con i quali
relazionarsi».[49] La
saggezza dei popoli originari dell’Amazzonia «ispira cura e rispetto per il
creato, con una chiara consapevolezza dei suoi limiti, proibendone l’abuso.
Abusare della natura significa abusare degli antenati, dei fratelli e delle
sorelle, della creazione e del Creatore, ipotecando il futuro».[50] Gli
indigeni, «quando rimangono nei loro territori, sono quelli che meglio se ne
prendono cura»,[51] sempre
che non si lascino ingannare dai canti di sirena e dalle offerte interessate di
gruppi di potere. I danni alla natura li affliggono in modo molto diretto e
constatabile, perché – dicono –: «Siamo acqua, aria, terra e vita dell’ambiente
creato da Dio. Pertanto, chiediamo che cessino i maltrattamenti e lo sterminio
della Madre terra. La terra ha sangue e si sta dissanguando, le multinazionali
hanno tagliato le vene alla nostra Madre terra».[52]
43. In Amazzonia l’acqua è la regina, i fiumi e i ruscelli
sono come vene, e ogni forma di vita origina da essa:
«Lì, nel pieno delle estati
ardenti, quando svaniscono, morte nell’aria immobile, le ultime folate di vento
orientale, il termometro viene sostituito dall’igrometro nella definizione del
clima. Le esistenze dipendono da un alternarsi doloroso di abbassamenti e
innalzamenti dei grandi fiumi. Questi si elevano sempre in una maniera
impressionante. Il Rio delle Amazzoni, gonfio, esce dal suo letto, accresce in
pochi giorni il livello delle sue acque […]. La piena del fiume è un arresto
della vita. Prigioniero nelle maglie dei “sentieri delle canoe”, l’uomo attende
perciò, con singolare stoicismo nei confronti della fatalità ineludibile, la
fine di quell’inverno paradossale, dalle temperature elevate. L’abbassamento
delle acque è l’estate. È la risurrezione dell’attività primordiale di coloro
che da quelle parti si dibattono, dell’unica forma di vita compatibile con la
natura che si impegna al massimo in manifestazioni disparate, rendendo
impossibile il prolungamento di qualsiasi sforzo».[53]
44. L’acqua abbaglia nel gran Rio delle Amazzoni, che
raccoglie e vivifica tutto all’intorno:
«Rio delle Amazzoni
capitale delle sillabe dell’acqua,
padre patriarca, sei
l’eternità segreta
delle fecondazioni,
a te scendono fiumi come uccelli».[54]
capitale delle sillabe dell’acqua,
padre patriarca, sei
l’eternità segreta
delle fecondazioni,
a te scendono fiumi come uccelli».[54]
45. È inoltre la colonna vertebrale che armonizza e unisce:
«Il fiume non ci separa, ci unisce, ci aiuta a convivere tra diverse culture e
lingue».[55] Per
quanto sia vero che in questo territorio ci siano molte “Amazzonie”, il suo
asse principale è il grande fiume, figlio di molti altri fiumi:
«Dalle vette più alte della
cordigliera, dove le nevi sono eterne, l’acqua scorre e traccia un solco
vibrante nella pelle antica della pietra: il Rio delle Amazzoni è appena nato.
Nasce ad ogni istante. Discende lenta, sinuosa luce, per crescere nella terra.
Scacciando il verde, inventa il suo corso e cresce. Acque sotterranee affiorano
per abbracciarsi con l’acqua che scende dalle Ande. Dal ventre delle nubi
bianchissime, scosse dal vento, cade l’acqua celeste. Avanzano riunite,
moltiplicate in percorsi infiniti, bagnando l’immensa pianura […]. È la Grande
Amazzonia, tutta nel tropico umido, con la sua foresta compatta e stupefacente,
dove ancora palpita, intatta e in vaste zone mai sorpresa dall’uomo, la vita
che venne tessendo il suo ordito nelle intimità dell’acqua […]. Da quando
l’uomo la abita, si leva dalle profondità delle sue acque, e scorre dai luoghi
alti della sua foresta un tremendo timore: che questa vita, a poco a poco, stia
prendendo la direzione della fine».[56]
46. I poeti popolari, che si sono innamorati della sua
immensa bellezza, hanno cercato di esprimere quanto il fiume faceva loro
percepire, e la vita che dona al suo passaggio, in una danza di delfini,
anaconda, alberi e canoe. Ma pure deplorano i pericoli che lo minacciano.
Questi poeti, contemplativi e profetici, ci aiutano a liberarci dal paradigma
tecnocratico e consumista che soffoca la natura e ci priva di un’esistenza
realmente dignitosa:
«Il mondo soffre per la
trasformazione dei piedi in gomma, delle gambe in cuoio, del corpo in tessuto e
della testa in acciaio […]. Il mondo soffre per la trasformazione della pala in
fucile, dell’aratro in carro armato, dell’immagine del seminatore che sparge
semi in quella dell’automa con i suoi lanciafiamme, dalla cui semina
germogliano deserti. Solo la poesia, con l’umiltà della sua voce, potrà salvare
questo mondo».[57]
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