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mercoledì 16 settembre 2020

NARCISO E IL SELFIE

Narciso - Caravaggio. 

Conosciamo tutti il Mito di Narciso. Un giovane di eccezionale bellezza e orgoglioso di sé scopre in uno specchio d’acqua la sua immagine e se ne innamora. Per gli antichi questo auto innamoramento fu una punizione divina. Narciso non riesce più a staccarsi dalla propria immagine e cade in essa, cioè nell’acqua dove muore annegato.

Si può veramente cadere nel narcisismo e “morirne”, annegare e rimanere schiavi. Narciso scopre la sua immagine da adolescente perché all’epoca non esistevano gli specchi. Da allora è stato inventato lo specchio, poi la fotografia e il filmino e ultimamente la possibilità del selfie. Si moltiplicano le occasioni di ammirare se stessi invece di aprirsi agli altri

Sono impressionato di vedere quanti selfie si fanno anche credenti che fanno un cammino di fede. Vanità? Direi: certamente. Ma dietro: orgoglio o insicurezza? Forse molta insicurezza se devo continuamente verificare la mia immagine. Molta difficoltà a stabilire relazioni se non ho meglio da fare che specchiare me stesso. In ogni caso il selfie compulsivo indica un ripiegamento su se stessi, una difficoltà nella crescita. Dalla stessa radice inglese viene “selfish” che significa “egoista”. In ogni caso il selfie è il contrario del cammino cristiano che è dimenticare se stessi per donarsi, affidare a Dio e al suo giudizio il mistero della propria vita e perderla per amare Dio e il prossimo, rischiare la propria vita nella relazione con l’altro, con la comunità. Il tempo che passi a farti le fotografie da solo, magari con smorfie più o meno strane, ecc. (e anche i continui selfie di gruppo con te al centro) non è certamente un tempo dato a Dio e al prossimo. Certo ci sono tanti altri comportamenti autoreferenziali magari meno vistosi. Ma la malattia del selfie è una vera malattia. Tutti i comportamenti autoreferenziali vanno affrontati con la stessa scelta consapevole: passare dall'Io al centro all'Altro al centro. L'Altro in assoluto è Dio. Sant'Agostino usa per questo parole molto forti: passare dall'Avversione a Dio alla Conversione a Dio. Benedetto XVI in "Deus caritas est" (2005), parla di un cammino da compiere dall'Eros all'Agape, passando per la Filia, attraverso molte purificazioni successive, dall'amore centrato su di me all'amore gratuito, divino. 

 

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