195. Questo ci aiuta a riconoscere
che non sempre si tratta di ottenere grandi risultati, che a volte non sono
possibili. Nell’attività politica bisogna ricordare che «al di là di qualsiasi
apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra
dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio,
questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere
popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il
nostro cuore si riempie di volti e di nomi!».[193] I
grandi obiettivi sognati nelle strategie si raggiungono parzialmente. Al di là
di questo, chi ama e ha smesso di intendere la politica come una mera ricerca
di potere, «ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte
con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli
altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna
generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola
attraverso il mondo come una forza di vita».[194]
196. D’altra parte, è grande nobiltà esser capaci di avviare
processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella
forza segreta del bene che si semina. La buona politica unisce all’amore la
speranza, la fiducia nelle riserve di bene che ci sono nel cuore della gente,
malgrado tutto. Perciò, «la vita politica autentica, che si fonda sul diritto e
su un dialogo leale tra i soggetti, si rinnova con la convinzione che ogni
donna, ogni uomo e ogni generazione racchiudono in sé una promessa che può
sprigionare nuove energie relazionali, intellettuali, culturali e spirituali».[195]
197. Vista in questo modo, la politica è più nobile
dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico.
Tutto ciò non semina altro che divisione, inimicizia e uno scetticismo
desolante incapace di appellarsi a un progetto comune. Pensando al futuro, in
certi giorni le domande devono essere: “A che scopo? Verso dove sto puntando
realmente?”. Perché, dopo alcuni anni, riflettendo sul proprio passato, la
domanda non sarà: “Quanti mi hanno approvato, quanti mi hanno votato, quanti
hanno avuto un’immagine positiva di me?”. Le domande, forse dolorose, saranno:
“Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il
popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali
ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho
seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?”.
[193] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre
2013), 274: AAS 105 (2013), 1130.
[194] Ibid., 279: AAS 105
(2013), 1132.
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