Leggendo questi paragrafi di Fratelli tutti, possiamo pensare a un'anticipazione di quello che dirà Papa Francesco in Iraq. Quanto bisogno abbiamo che la politica sia Carità e la nostra carità diventi il substrato di una buona politica. Quanto ne siamo lontani, anche per la passività di ciascuno di noi... Preghiamo per questo viaggio in Iraq voluto con fermezza da Papa Francesco ma sempre in bilico.
L’attività dell’amore politico
186. C’è un cosiddetto amore “elicito”, vale a dire
gli atti che procedono direttamente dalla virtù della carità, diretti a persone
e a popoli. C’è poi un amore “imperato”: quegli atti della carità che
spingono a creare istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strutture più
solidali.[181] Ne
consegue che è «un atto di carità altrettanto indispensabile l’impegno
finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non
abbia a trovarsi nella miseria».[182] È
carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si
fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le
condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un
anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico
gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli
da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma
altissima di carità che nobilita la sua azione politica.
I sacrifici dell’amore
188. Da ciò risulta l’urgenza di trovare una soluzione per
tutto quello che attenta contro i diritti umani fondamentali. I politici sono
chiamati a prendersi «cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle
persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e
fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente
alla “cultura dello scarto”. […] Significa farsi carico del presente nella sua
situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità».[185] Così
certamente si dà vita a un’attività intensa, perché «tutto dev’essere fatto per
tutelare la condizione e la dignità della persona umana».[186] Il
politico è un realizzatore, è un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo
ampio, realistico e pragmatico, anche al di là del proprio Paese. Le maggiori
preoccupazioni di un politico non dovrebbero essere quelle causate da una
caduta nelle inchieste, bensì dal non trovare un’effettiva soluzione al
«fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze
di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento
sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione,
traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato.
È tale l’ordine di grandezza di queste situazioni e il numero di vite innocenti
coinvolte, che dobbiamo evitare qualsiasi tentazione di cadere in un
nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze. Dobbiamo
aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci nella lotta contro
tutti questi flagelli».[187] Questo
si fa sfruttando con intelligenza le grandi risorse dello sviluppo tecnologico.
189. Siamo ancora lontani da una globalizzazione dei diritti
umani più essenziali. Perciò la politica mondiale non può tralasciare di porre
tra i suoi obiettivi principali e irrinunciabili quello di eliminare
effettivamente la fame. Infatti, «quando la speculazione finanziaria condiziona
il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di
persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di
alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale,
l’alimentazione è un diritto inalienabile».[188] Tante
volte, mentre ci immergiamo in discussioni semantiche o ideologiche, lasciamo
che ancora oggi ci siano fratelli e sorelle che muoiono di fame e di sete,
senza un tetto o senza accesso alle cure per la loro salute. Insieme a questi
bisogni elementari non soddisfatti, la tratta di persone è un’altra vergogna
per l’umanità che la politica internazionale non dovrebbe continuare a
tollerare, al di là dei discorsi e delle buone intenzioni. È il minimo
indispensabile.
[181] La dottrina
morale cattolica, seguendo l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, distingue
tra l’atto “elicito” e l’atto “imperato” (cfr Summa Theologiae,
I-II, q. 8-17; Marcellino Zalba, S.J., Theologiae moralis summa. Theologia moralis fundamentalis. Tractatus de
virtutibus theologicis, ed. BAC, Madrid
1952, vol. 1, 69; Antonio Royo Marín, Teología de la Perfección
cristiana, ed. BAC, Madrid 1962, 192-196).
[182] Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della
dottrina sociale della Chiesa, 208.
[183] Cfr S. Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei
socialis (30 dicembre 1987), 42: AAS 80 (1988), 572-574; Id.
Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991),
11: AAS 83 (1991), 806-807.
[184] Discorso ai
partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari (28 ottobre
2014): AAS 106 (2014), 852.
[185] Discorso al Parlamento
Europeo, Strasburgo (25 novembre 2014): AAS 106 (2014), 999.
[186] Discorso alla classe
dirigente e al Corpo diplomatico, Bangui – Repubblica Centrafricana (29 novembre
2015): AAS 107 (2015), 1320.
[187] Discorso
all’Organizzazione delle Nazioni Unite, New York (25 settembre
2015): AAS 107 (2015), 1039.
[188] Discorso ai
partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari (28 ottobre
2014): AAS 106 (2014), 853.
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