Papa
Francesco ha voluto istituire la Domenica della Parola di Dio con ricorrenza
annuale alla Terza Domenica del Tempo Ordinario. Al primo momento di gioia è
seguito per me qualche perplessità: ma tutte le domeniche, anzi, ogni eucaristia non sono della Parola di
Dio? Quale iniziativa particolare potremo prendere per celebrare questa
domenica?
La
verità è che se tanti battezzati, dal Concilio Vaticano II in poi, hanno potuto
aprire con frutto le Scritture e nutrirsene, molti ancora non hanno la Bibbia o
la tengono solo come soprammobile. Trovo un po’ assurda la prassi di donare la
Bibbia alla fine del matrimonio agli sposi se, per non dover
elevare il prezzo, l’Editore offre una Bibbia dalla copertina carina e bianca
(è un matrimonio!) ma il cui testo è a caratteri così
piccoli che si sa già che non sarà mai letta davvero. Meglio un Nuovo
Testamento soltanto ma con caratteri grandi.
San Francesco strappava le pagine dell'unico Vangelo che avevano in comunità perché ogni frate potesse leggerlo e meditarlo. All'epoca, un Vangelo, scritto a mano su pergamena e sicuramente illustrato, costava una fortuna. San Francesco era un'eccezione. Anche per i costi, prima
della stampa, nessuno aveva il Vangelo in casa. E, fino quasi ai nostri giorni, la lettura della Parola di Dio
difficilmente poteva essere un fatto privato e passava solo attraverso la
mediazione della Chiesa. Da una parte così deve essere: è la Chiesa che porge la Parola ai suoi figli. La Chiesa è colonna e
fondamento della verità (1 Tim 3,15) e la Sacra Scrittura non può essere
soggetta a privata spiegazione (2 Pietro 1,20). Ma la Parola è il pane di cui
vive l’uomo e la Chiesa deve nutrire i figli di Dio. Un conto è proporre la
Parola di Dio e annunciarla come Chiesa, dandone l’interpretazione autentica come
si fa dalla Pentecoste in poi, un conto è sostituirsi ad essa, sostituirla con catechismi,
libretti pii ecc., e non mettere i battezzati in contatto con la Parola di Dio ispirata che è veramente utile per consolare, edificare, correggere, liberare, istruire, e
formare ad ogni opera buona. La Scrittura è come una spada a doppio taglio. Inoltre la Parola
di Dio vive in mezzo alle comunità credenti e va oltre la Scrittura.
Da
una parte chi era ebreo e si sentiva eletto, possessore della verità, della
vera fede, delle vere tradizioni, da due mila anni, da Abramo in poi, non ha
capito Gesù Cristo e l’ha ritenuto un bestemmiatore, un usurpatore. E quando ha
accettato Gesù come Messia, si è visto invaso sempre di più dai pagani finora
disprezzati. Anzi, Paolo di Tarso, che era a tutti gli effetti un
ebreo ma che si è emarginato da se stesso ha raccolto tra i pagani più conversioni di tutti e la maggioranza dei credenti nel Messia ha cominciato a non essere più
formata da ebrei ma da ex pagani. Inoltre Paolo non scriveva in ebraico, la lingua dei
padri che conosceva benissimo, ma in greco. Per stare in una comunità cristiana
bisognava spesso abbandonare molte tradizioni alle quali si era abituati da sempre, o almeno
convivere con persone per le quali queste tradizioni così care rappresentavano molto
poco.
Dall’altra
parte, i greci e i romani, che, come popolo, erano e si sentivano a tutti gli effetti
superiori culturalmente, economicamente, tecnicamente, militarmente, dovevano
abbracciare una Buona Notizia che veniva portata loro da gente che finora avevano
ridotto in schiavitù, dominato, spogliato delle loro ricchezze. Non poteva non
creare qualche tensione e qualche smarrimento a chi non era veramente docile allo
Spirito Santo. Questo meccanismo, questo sbilanciamento è però costante in tutta la Storia della Salvezza ed è testimoniato anche dall'Antico Testamento.
Un po’
come se oggi il Papa a Roma fosse un sudamericano, o un cinese, oppure come se Gesù
Cristo e i suoi apostoli fossero africani subsahariani.
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