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sabato 12 maggio 2018

LA DOTTRINA DELLA TRIBOLAZIONE SECONDO P. BERGOGLIO



In questo periodo di Pentecoste molti riceveranno il sacramento della Cresima, il sigillo dello Spirito Santo che dona il dono del discernimento. Ho letto un articolo della Civiltà Cattolica che riprende a proposito uno scritto dell'allora p. Bergoglio datato Natale 1987 che può fare tanto bene a tutti. 
E' l’introduzione ad alcune lettere di due Padri Generali della Compagnia di Gesù, in tempi di forte persecuzione e confusione, rivolte ai Gesuiti per aiutarli a non smarrirsi ma anzi, a rafforzarsi nella vita spirituale e ad uscire vittoriosi dalla prova. Secondo P. Spadaro, accettare questa dottrina di P. Bergoglio significa entrare nel cuore del pontificato che ha generato l’esortazione sulla santità «Gaudete et exsultate» come frutto maturo.
Provo a trarne l’insegnamento generale: Tutti, nel nostro cammino cristiano, incontriamo dubbi, prove, ingiustizie, perfino a volte anche un vero e proprio polverone di persecuzioni. D’altronde nessuno di noi è perfetto. E tutto questo può provocare confusione nel cuore, ribellione, chiusura, perdita di fede, scoraggiamento. Secondo p. Bergoglio queste lettere sono «una meraviglia di criteri di discernimento, di criteri di azione per non lasciarsi risucchiare dalla desolazione», per sfuggire la tentazione di «fermarsi a ruminare la desolazione».
A gennaio, ai religiosi della Chiesa del Cile che sta vivendo un momento di vera bufera, papa Francesco parla dell’Apostolo Pietro. Pietro ha tradito, è crollato nel suo sogno di seguire Gesù con lealtà e successo, non ce l’ha fatta e anche se Gesù è risorto rimane nel suo cuore l’ombra pesante del passato: si sente squalificato, si trascina a fatica, non è degno, non ce la fa, questa situazione che l’ha spazzato via, l’ha anche spezzato: non è all’altezza, non è stato aiutato, è stato abbandonato, perché Dio ha voluto o permesso questo? È un tempo di smarrimento e di «vortice di conflitti». Con la domanda: «Mi ami tu?», Gesù intendeva liberare Pietro dal «non accettare con serenità le contraddizioni o le critiche. Voleva liberarlo dalla tristezza e specialmente dal malumore. Con quella domanda, Gesù invita Pietro ad ascoltare il proprio cuore e imparare a discernere». Insomma, Gesù vuole evitare che Pietro diventi un distruttore, un caritatevole menzognero o un perplesso paralizzato. Gesù insiste, finché Pietro non gli dà una risposta realistica: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17). Così Gesù lo conferma nella missione. E in questo modo lo fa diventare definitivamente suo apostolo. 
Che fare in momenti di turbamento, quando il polverone delle persecuzioni, delle tribolazioni, dei dubbi ecc. viene sollevato dagli avvenimenti che sembrano ben troppo grandi per le nostre forze? non è facile allora distinguere la via da seguire. Ci sono varie tentazioni proprie di quel tempo: fare discussioni, non affrontare la situazione e sfuggire, badare troppo ai persecutori e restare a rimuginare la desolazione ecc. Invece bisogna rafforzare la nostra appartenenza al Signore lì dove ci ha messo, non come schiavi, ma come amici di Gesù, membri del suo Corpo, angeli mandati da lui con una missione. Appartenenza a Gesù che «è primaria e deve prevalere su tutte le altre (a istituzioni di ogni ordine, sia dipendenti dalla nostra comunità sia esterne ad essa); deve contrassegnare ogni altro impegno che, per suo mezzo, viene trasformato in “missione”…».
Oggi come allora, alle posizioni culturali e sociopolitiche soggiace un’ideologia: nel passato c'erano l’illuminismo, il liberalismo, l’assolutismo, il regalismo ecc., oggi troviamo forse piuttosto il consumismo, l’assolutizzazione delle “emozioni” piacevoli e dell’egoismo, con i corollari della realizzazione di se stessi, dell’accumulare esperienze affermando che ogni lasciato è perduto, mettendo la soddisfazione immediata a livello di valore assoluto, senza discernimento sul rapporto tra bene e male, né sulle conseguenze e quindi sulla costruzione di un vero futuro e di un vero sviluppo della personalità o su ciò che lasceremo alle generazioni a venire,ecc.. Non conviene mettersi a «discutere» con tali ideologie. Si sa perfettamente che – in quegli atteggiamenti – ci sono errore, menzogna, ignoranza…, e tuttavia bisogna lasciare da parte queste cose e, incentrare la nostra riflessione sulla confusione che quelle idee (e le conseguenze esistenziali, culturali e politiche) producono nel cuore. È vero che c’è uno scontro di idee, ma è meglio guardare alla vita concreta, al rischio di perdere la pace, di perdere Cristo.
Le idee si discutono, la situazione si discerne. Bisogna cercare elementi di discernimento quando siamo in tribolazione. Meglio concentrarsi sulla confusione. La confusione si annida nel cuore: è l’andirivieni dei diversi spiriti: amore odio, docilità e ribellione, fiducia e sfiducia, paura e coraggio, generosità e ripiegamento su se stessi, accettazione di Dio o pretesa di fare una strada in autonomia. Più che argomentare su idee, o avvenimenti esterni (quello che mi ha fatto quello o quella, ciò che sto passando, quella situazione che non migliora mai, ecc.) è essenziale farci carico della nostra vocazione cristiana.
Davanti alla gravità dei tempi, all’ambiguità delle situazioni che si sono create, il cristiano tribolato deve discernere, ricomporsi nella sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Non è lecito optare per alcuna delle soluzioni che negasse la polarità contraria e reale. Deve «cercare per trovare» la Volontà di Dio, e non «cercare per avere» una via d’uscita che lo lasciasse tranquillo. Il segno di aver fatto un buon discernimento si ha dalla pace (dono di Dio), e non dall’apparente tranquillità di un equilibrio umano o di una scelta in favore di uno degli elementi in contrapposizione. In concreto: non è di Dio difendere la verità a costo della carità, né la carità a costo della verità, né l’equilibrio a costo di entrambe. Per evitare di trasformarsi in un verace distruttore o in un caritatevole bugiardo o in un perplesso paralizzato, il cristiano tribolato deve discernere. Ed è proprio del Superiore aiutare il discernimento. Atteggiamento paterno, che protegge la comunità dalla disperazione e dallo sradicamento spirituale.
Il ricorso alle verità fondamentali che danno senso alla nostra appartenenza sembra l’unica via per mettere bene a fuoco un discernimento. Sant’Ignazio ce lo suggerisce, quando ci troviamo di fronte a qualsiasi scelta: «L’occhio della nostra intenzione dev’essere semplice, avendo di mira unicamente il fine per cui sono creato…». Inoltre, bisogna guardare in faccia i peccati propri e della comunità che si direbbero del tutto estranei alla situazione esterna di confusione provocata dalle persecuzioni. Che c’entrano i miei peccati con il fatto che sono nato andicappato, oppure con la politica che non da mai opportunità ai giovani, ai poveri, ecc.? eppure se non lo facessi, se io dimenticassi di essere anch’io un peccatore, mi vedrei soltanto perseguitato e questo potrebbe generare il cattivo spirito di «sentirsi vittima», oggetto di ingiustizia ecc. Fuori, per la persecuzione, c’è confusione… Nel considerare i propri peccati, il cristiano chiede – per sé – «vergogna e confusione di me stesso». Le persecuzione esterne e i miei peccati non sono la stessa cosa, ma si assomigliano; e – in questo modo – ci si pone nella migliore disposizione per fare discernimento.
Domani metterò due note molto interessanti che erano aggiunte al testo di Padre Bergoglio e di cui, a modo mio, ho cercato di rendere conto. 

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