Ieri,
era la Festa dell’Ascensione, era il 13 maggio, cioè il 101° anniversario delle
apparizioni di Fatima, era la Festa della Mamma, e, come se non bastasse, era anche
la 52° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Malgrado tante sollecitazioni mi sembra importante non lasciar passare il Messaggio dato dal Papa in occasione di questa Giornata senza fermarci al suo contenuto.
Il Messaggio
della Giornata di questo anno affronta il tema delle “fake news” così presenti nel
mondo, specialmente quello digitale, e anche sui nostri gruppi Social. Gruppi Social di cristiani praticanti ma spesso sprovveduti e anche, diciamolo, non sempre responsabili.
Mi sembra
che tutti possano leggere questo Messaggio e trarne profitto, anche chi non ha
una cultura scolastica elevata, perché è scritto in modo molto semplice e si
tratta di leggerlo per acquistare sapienza e non per farne un reso conto
preciso. Basta afferrare qualche briciola, anche una sola espressione che nutre
la riflessione e il cuore…
Dicevo
che il problema delle fake news è presente anche sui nostri gruppi digitali di
parrocchia e sembra che alcuni non vogliano sentire ragione. Do un esempio recentissimo:
va girando da qualche anno “un’omelia scritta (sic) ieri (!!!) da papa Francesco”. Un membro mette questo testo sul gruppo. Ora, è un falso. Il responsabile glielo lo fa presente. Nemmeno
due giorni dopo un altro membro mette la stessa “omelia scritta ieri”! sul gruppo.
Cioè, c'è gente che pubblica cose che non hanno neppure letto, oppure non leggono
affatto quello che mettono gli altri! In questo modo questi gruppi non sono più mezzi che facilitano la comunicazione, il confronto, la crescita insieme, ma una
finzione negativa che è l’esatto contrario della vera comunicazione. E da parte
di chi mette in giro questi testi c'è irresponsabilità.
Penso
che dovremmo parlarne seriamente in qualche riunione. Intanto leggiamo con
attenzione il Messaggio del papa e facciamo tesoro delle sue osservazioni.
MESSAGGIO
DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 52ma GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
PER LA 52ma GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
« La verità vi farà liberi (Gv 8,32).
Fake news e giornalismo di pace»
Fake news e giornalismo di pace»
Cari fratelli e sorelle,
nel progetto di Dio, la comunicazione umana è una modalità
essenziale per vivere la comunione. L’essere umano, immagine e somiglianza del
Creatore, è capace di esprimere e condividere il vero, il buono, il bello. E’
capace di raccontare la propria esperienza e il mondo, e di costruire così la
memoria e la comprensione degli eventi. Ma l’uomo, se segue il proprio
orgoglioso egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare,
come mostrano fin dall’inizio gli episodi biblici di Caino e Abele e della
Torre di Babele (cfr Gen 4,1-16; 11,1-9). L’alterazione della
verità è il sintomo tipico di tale distorsione, sia sul piano individuale che
su quello collettivo. Al contrario, nella fedeltà alla logica di Dio la
comunicazione diventa luogo per esprimere la propria responsabilità nella
ricerca della verità e nella costruzione del bene. Oggi, in un contesto di
comunicazione sempre più veloce e all’interno di un sistema digitale,
assistiamo al fenomeno delle “notizie false”, le cosiddette fake news:
esso ci invita a riflettere e mi ha suggerito di dedicare questo messaggio al
tema della verità, come già hanno fatto più volte i miei predecessori a partire
da Paolo VI (cfr Messaggio 1972: Le
comunicazioni sociali al servizio della verità). Vorrei così
offrire un contributo al comune impegno per prevenire la diffusione delle
notizie false e per riscoprire il valore della professione giornalistica e la
responsabilità personale di ciascuno nella comunicazione della verità.
1. Che cosa c’è di falso nelle “notizie false”?
Fake news è un termine discusso e oggetto di
dibattito. Generalmente riguarda la disinformazione diffusa online o
nei media tradizionali. Con questa espressione ci si riferisce
dunque a informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate
a ingannare e persino a manipolare il lettore. La loro diffusione può
rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire
ricavi economici.
L’efficacia delle fake news è dovuta in primo
luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire
plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono
capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari,
facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto
sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il
disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un
uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne
garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di
fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli
difficilmente riescono ad arginarne i danni.
La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è
dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di
ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti.
L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché
avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe
mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo
costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni
faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento
dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che
può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di
atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito
che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima
analisi, la falsità.
2. Come possiamo riconoscerle?
Nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabilità di contrastare
queste falsità. Non è impresa facile, perché la disinformazione si basa spesso
su discorsi variegati, volutamente evasivi e sottilmente ingannevoli, e si
avvale talvolta di meccanismi raffinati. Sono perciò lodevoli le iniziative
educative che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto
comunicativo, insegnando a non essere divulgatori inconsapevoli di
disinformazione, ma attori del suo svelamento. Sono altrettanto lodevoli le
iniziative istituzionali e giuridiche impegnate nel definire normative volte ad
arginare il fenomeno, come anche quelle, intraprese dalle tech emedia
company, atte a definire nuovi criteri per la verifica delle identità
personali che si nascondono dietro ai milioni di profili digitali.
Ma la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della
disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento. Da
smascherare c’è infatti quella che si potrebbe definire come “logica del
serpente”, capace ovunque di camuffarsi e di mordere. Si tratta della strategia
utilizzata dal «serpente astuto», di cui parla il Libro della Genesi,
il quale, ai primordi dell’umanità, si rese artefice della prima “fake news”
(cfr Gen 3,1-15), che portò alle tragiche conseguenze del
peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio (cfr Gen 4)
e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il
creato. La strategia di questo abile «padre della menzogna» (Gv 8,44)
è proprio la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si
fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti. Nel racconto
del peccato originale il tentatore, infatti, si avvicina alla donna facendo
finta di esserle amico, di interessarsi al suo bene, e inizia il discorso con
un’affermazione vera ma solo in parte: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete
mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1).
Ciò che Dio aveva detto ad Adamo non era in realtà di non mangiare di
alcun albero, ma solo di un albero: «Dell’albero della
conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen 2,17). La
donna, rispondendo, lo spiega al serpente, ma si fa attrarre dalla sua
provocazione: «Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha
detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”» (Gen 3,2).
Questa risposta sa di legalistico e di pessimistico: avendo dato credibilità al
falsario, lasciandosi attirare dalla sua impostazione dei fatti, la donna si fa
sviare. Così, dapprima presta attenzione alla sua rassicurazione: «Non morirete
affatto» (v. 4). Poi la decostruzione del tentatore assume una parvenza
credibile : «Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i
vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (v. 5). Infine,
si giunge a screditare la raccomandazione paterna di Dio, che era volta al
bene, per seguire l’allettamento seducente del nemico: «La donna vide che
l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile» (v. 6).
Questo episodio biblico rivela dunque un fatto essenziale per il nostro
discorso: nessuna disinformazione è innocua; anzi, fidarsi di ciò che è falso,
produce conseguenze nefaste. Anche una distorsione della verità in apparenza
lieve può avere effetti pericolosi.
In gioco, infatti, c’è la nostra bramosia. Le fake news diventano
spesso virali, ovvero si diffondono in modo veloce e difficilmente arginabile,
non a causa della logica di condivisione che caratterizza i social
media, quanto piuttosto per la loro presa sulla bramosia insaziabile che
facilmente si accende nell’essere umano. Le stesse motivazioni economiche e
opportunistiche della disinformazione hanno la loro radice nella sete di
potere, avere e godere, che in ultima analisi ci rende vittime di un imbroglio
molto più tragico di ogni sua singola manifestazione: quello del male, che si
muove di falsità in falsità per rubarci la libertà del cuore. Ecco perché
educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i
desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi
di bene “abboccando” ad ogni tentazione.
3. «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32)
La continua contaminazione con un linguaggio ingannevole finisce
infatti per offuscare l’interiorità della persona. Dostoevskij scrisse qualcosa
di notevole in tal senso: «Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne
arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né
intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli
altri. Poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e
allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si
abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa
come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé
stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2).
Come dunque difenderci? Il più radicale antidoto al virus della
falsità è lasciarsi purificare dalla verità. Nella visione cristiana la verità
non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose,
definendole vere o false. La verità non è soltanto il portare alla luce cose
oscure, “svelare la realtà”, come l’antico termine greco che la designa, aletheia (da a-lethès,
“non nascosto”), porta a pensare. La verità ha a che fare con la vita intera.
Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come
dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico.
La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso
relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può
contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io
sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e
riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e
affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo: «La verità vi farà
liberi» (Gv 8,32).
Liberazione dalla falsità e ricerca della relazione: ecco i due
ingredienti che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti
siano veri, autentici, affidabili. Per discernere la verità occorre vagliare
ciò che asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario,
tende a isolare, dividere e contrapporre. La verità, dunque, non si guadagna
veramente quando è imposta come qualcosa di estrinseco e impersonale; sgorga
invece da relazioni libere tra le persone, nell’ascolto reciproco. Inoltre, non
si smette mai di ricercare la verità, perché qualcosa di falso può sempre
insinuarsi, anche nel dire cose vere. Un’argomentazione impeccabile può infatti
poggiare su fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro e per
screditarlo agli occhi degli altri, per quanto giusta appaia, non è abitata
dalla verità. Dai frutti possiamo distinguere la verità degli enunciati: se
suscitano polemica, fomentano divisioni, infondono rassegnazione o se, invece,
conducono ad una riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, a
un’operosità proficua.
4. La pace è la vera notizia
Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le
persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e
attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone
che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via
d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità,
particolarmente coinvolto è chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile
nell’informare, ovvero il giornalista, custode delle notizie. Egli,
nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria
missione. Ha il compito, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop,
di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e
l’impatto sull’audience, ma le persone. Informare è formare,
è avere a che fare con la vita delle persone. Per questo l’accuratezza delle
fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo
del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace.
Desidero perciò rivolgere un invito a promuovere un giornalismo
di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”,
che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al
contrario, un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad
effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le
persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a
quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che
non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei
conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento
attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a
indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della
violenza verbale.
Per questo, ispirandoci a una preghiera francescana, potremmo così
rivolgerci alla Verità in persona:
Signore, fa’ di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ che poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.
Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ che poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.
Francesco
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