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domenica 13 maggio 2018

LA DOTTRINA DELLA TRIBOLAZIONE DI PADRE JORGE M. BERGOGLIO (NOTE)

Foto di gruppo con Papa Francesco durante la sua visita a Nomadelfia pochi giorni fa.

Ho fatto quasi un furto ieri con il testo sulla Dottrina della Tribolazione in quanto l'ho ripreso dall'articolo della "Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti, pubblicato il 5 maggio scorso. (https://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-dottrina-della-tribolazione) e  ho tentato, forse in modo goffo, di riassumerlo e renderlo con parole più vicine ai laici in particolare che - anche loro, ahimè  - conoscono la tribolazione....
Come promesso aggiungo oggi due estratti di note dello stesso testo, molto illuminanti sull'argomento che tratta il futuro Papa Francesco.
Note: «In consonanza con questo [si riferisce al Decreto II della XIX Congregazione Generale, che elesse Generale il p. Ricci] si trova l’emozionante serie di lettere rivolte dal nuovo Generale ai suoi religiosi man mano che le prove si accumulano e i pericoli vanno accrescendosi. L’8 dicembre 1759, all’indomani dei decreti di Pombal che distruggevano le Province portoghesi, il P. Ricci invita alla preghiera per domandare anzitutto spiritum bonum, il vero spirito soprannaturale della vocazione, la perfetta docilità alla grazia divina. Di nuovo il 30 novembre 1761, nel momento in cui la Francia viene a sua volta raggiunta dalla tempesta, ciò che domanda è che si riponga del tutto la fiducia in Dio, si approfitti delle prove per la purificazione delle anime, si ricordi che esse ci avvicinano di più a Cristo, e servono anche per la maggior gloria di Dio. Il 13 novembre 1763 insiste sulla necessità di pregare e di rendere la preghiera più efficace con la santità della vita, raccomandando anzitutto l’umiltà, lo spirito di povertà e la perfetta obbedienza richiesta da sant’Ignazio. Il 16 giugno 1769, dopo l’espulsione dei gesuiti spagnoli, nuovo richiamo alla preghiera, allo zelo nel purificarsi dei minimi difetti. Infine, il 21 febbraio 1773, sei mesi prima della firma del breve Dominus ac Redemptor, nella mancanza di qualsiasi soccorso umano vuole vedere un effetto della misericordia di Dio, che invita coloro che prova a non confidare in altri se non in Lui; esorta ancora alla preghiera, ma per chiedere unicamente la conservazione di una Compagnia fedele allo spirito della sua vocazione: “Se, Dio non lo permetta, essa dovesse perdere quello spirito, importerebbe poco che venisse soppressa, dato che sarebbe divenuta inutile al fine per cui era stata fondata”. E termina con una calorosa esortazione a mantenere nella sua interezza lo spirito di carità, di unione, di obbedienza, di pazienza e di semplicità evangelica. Queste sono le parole con cui la Divina Provvidenza volle che si chiudesse la storia spirituale della Compagnia nel momento della prova suprema del sacrificio totale che le si stava per chiedere.
 ma è certo che, piuttosto che inviti a ricorrere alle abilità umane, legittime ma indubbiamente del tutto inutili, è preferibile ascoltare quelle reiterate chiamate alla fedeltà soprannaturale, alla santità della vita, all’unione con Dio nella preghiera, come alle cose essenziali in quelle ultime ore dell’Ordine, nell’imminenza della sua morte» (pp. 318 s). «Non c’è quasi bisogno di ricordare la protesta che il p. Ricci morente volle  leggere, al momento di ricevere il viatico nella sua prigione in Castel Sant’Angelo, il 19 novembre 1775: sul punto di comparire davanti al tribunale dell’infallibile verità, era suo dovere protestare che la Compagnia distrutta non aveva dato motivo alcuno alla sua soppressione; lo dichiarava e lo attestava con la certezza morale che può avere un superiore bene informato sullo stato del suo Ordine; quindi, che lui stesso non aveva dato motivo alcuno, nemmeno il più piccolo, alla sua carcerazione» (ivi, nota 71).

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