Sogno comunità aperte, umili, cariche di speranza.
Da due anni, il vescovo di Pinerolo in
Piemonte è Derio Olivero (59 anni). Ultimamente anche lui si è ammalato di
coronavirus rischiando fortemente di morire. Da questa esperienza è stato
conosciuto a livello nazionale perché quando saliva la collera dei super cattolici
contro lo Stato che violava le libertà non permettendo ancora le messe, egli ha
invitato alla prudenza. Lo fa ancora concretamente, anche dal fatto che il
Piemonte è una delle regioni tra le più toccate dal Covid. Infatti nella diocesi di Pinerolo le
Celebrazioni col popolo riprenderanno solo lunedì prossimo, 25 maggio.
Il 13 maggio ha scritto una lettera che propone
forti riflessioni. Ci farà bene leggerla:
Sogno comunità aperte, umili, cariche di speranza
Carissime amiche,
carissimi amici,
in questi giorni si è
acceso un dibattito sulle Messe: aprire o aspettare ancora?
…
La questione serissima
è: “Non è una parentesi!”. Vorrei che l’epidemia finisse domani mattina e la
crisi economica domani sera. Ma non sarà così. In ogni caso questo periodo di
pandemia e di crisi non è una semplice parentesi. Molti pensano: “Questa
parentesi si è aperta ad inizio marzo, si chiuderà e torneremo alla società e
alla Chiesa di prima”. No. E’ una bestemmia, un’ingenuità, una follia. Questo
tempo parla, ci parla. Questo tempo urla. Ci suggerisce di cambiare. La società
che ci sta alle spalle non era la “migliore delle società possibili”. Vi
ricordate quanti “brontolamenti” facevamo fino a febbraio? Bene, questo è il
tempo per sognare qualcosa di nuovo. Quella era una società fondata
sull’individuo. Tutti eravamo ormai persuasi di essere “pensabili a prescindere
dalle nostre relazioni”. Tutti eravamo convinti che le relazioni fossero un
optional che abbellisce la vita. Una ciliegina sulla torta, un dolcetto a fine
pasto. In questo isolamento ci siamo resi conto che le relazioni ci mancano
come l’aria. Perché le relazioni sono vitali, non secondarie. Noi siamo le
relazioni che costruiamo. Ciò significa riscoprire la “comunità”. Gli altri, la
società sono una fortuna e noi ne siamo parte viva. Il mio paesino, il mio
quartiere, la mai città sono la mia comunità: sono importanti come l’aria che
respiro e devo sentirmi partecipe. L’abbiamo scoperto, ora proviamo a viverlo.
Non è una parentesi, ma una nascita. La nascita di una società diversa. Non
sprechiamo quest’occasione! Una società che riscopre la comunità degli umani,
l’essenzialità, il dono, la fiducia reciproca, il rispetto della terra. Ne ho
parlato nella mia lettera “Vuoi un caffè?”. Forse possiamo rileggerla oggi come
stimolo per sognare e costruire una società nuova.
Abbiamo bisogno di
riscoprire la bellezza delle relazioni all’interno, tra catechisti, animatori,
collaboratori e praticanti. Abbiamo bisogno di creare in parrocchia un luogo
dove sia bello trovarsi, dove si possa dire: “Qui si respira un clima di
comunità, che bello trovarci!”. E all’esterno, con quelli che non frequentano o
compaiono qualche volta per “far dire una messa”, far celebrare un battesimo o
un funerale. Sogno cristiani che amano i non praticanti, gli agnostici, gli
atei, i credenti di altre confessioni e di altre religioni. Questo è il vero
cristiano. Sogno cristiani che non si ritengono tali perché vanno a Messa tutte
le domeniche (cosa ottima), ma cristiani che sanno nutrire la propria
spiritualità con momenti di riflessione sulla Parola, con attimi di silenzio,
momenti di stupore di fronte alla bellezza delle montagne o di un fiore,
momenti di preghiera in famiglia, un caffè offerto con gentilezza. Non
cristiani “devoti” (in modo individualistico, intimistico, astratto,
ideologico), ma credenti che credono in Dio per nutrire la propria vita e per
riuscire a credere alla vita nella buona e nella cattiva sorte. Non comunità
chiuse, ripiegate su se stesse e sulla propria organizzazione, ma comunità
aperte, umili, cariche di speranza; comunità che contagiano con propria
passione e fiducia. Non una Chiesa che va in chiesa, ma una Chiesa che va a
tutti. Carica di entusiasmo, passione, speranza, affetto. Credenti così
riprenderanno voglia di andare in chiesa. Di andare a Messa, per nutrirsi.
Altrimenti si continuerà a sprecare il cibo nutriente dell’Eucarestia. Guai a
chi spreca il pane quotidiano (lo dicevano già i nostri nonni). Guai a chi
spreca il “cibo” dell’Eucarestia. Solo con questa fame potremo riscoprire la
fortuna della Messa. E solo in questo modo riscopriremo la voglia di diventare
un regalo per gli altri, per l’intera società degli umani.
Buon cammino a tutti.
Insieme. Vi porto in cuore.
Con affetto e stima.
+ Derio, Vescovo
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