L’interculturalità è, di fatto, la manifestazione di una problematica più profonda, che ne costituisce la base: il disegno divino dell’unità dei popoli e l’arduo cammino di questa unità nella diversità. Si tratta di uno dei fili conduttori principali della storia biblica della salvezza. Il racconto tipico della Torre di Babele in Gn 11,1-9 sottolinea la tensione tra la ricchezza della molteplicità delle lingue, da un lato, e la capacità dell’essere umano di dissolvere l’unità della casa comune, di confondere il logos dell’oikos. La chiamata di Abramo, la promessa a lui fatta che in lui saranno «benedette tutte le famiglie della terra» (Gn 12,3), è la prima risposta salvifica di Dio. I profeti prolungano questa promessa per i popoli della terra annunciando l’unità di tutte le nazioni attorno al popolo eletto e alla sua Legge.[148]
Il Nuovo Testamento presenta questa unità come realizzata nel Messia, colui che col suo sangue e nella sua carne «abbatte il muro di separazione, cioè l’inimicizia» tra Israele e le nazioni, per «creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo» (Ef 2,14.15b). Così, le nazioni sono associate al popolo dell’alleanza, in quanto sono chiamate «a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa» (Ef 3,6). Tutto ciò è possibile in Cristo, l’universale singolare, che tiene insieme alterità e identità, e che assume tutta l’umanità assumendo una umanità genealogicamente e culturalmente situata. L’antitipo di Babele, la Pentecoste delle lingue di fuoco in At 2,1-18, è la manifestazione e la realizzazione di questa potenza di comunione del logos umano, che procede ultimamente dal Logos di Dio.[149]Non è nell’unità fusionale di un’unica lingua che lo Spirito Santo opera la comunione di questi ebrei di lingue e culture differenti, ma ispirando la comprensione dell’altro, immagine di ciò che sarà la Chiesa, che raduna tutte le nazioni, tutta tesa verso il suo compimento, quando i «144000 segnati col sigillo» delle Dodici tribù di Israele e «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» realizzeranno la piena comunione escatologica dell’umanità nella nuova Gerusalemme (Ap 7,4.9).
[148] «Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe […]. Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. […] Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerraˮ». (Is 2,2-4; cf. Mic 4,1-4); «La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7; cf. Zc 14,16).
[149] É sorprendente constatare come Paolo, proclamando il Vangelo nella scia di Pentecoste, celebri all’Areopago l’unità della famiglia umana: «Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio» (At 17,26).
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