Andare ad Auschwitz per non dimenticare, perché non succeda di nuovo. Purtroppo ci sono tanti altri luoghi teatri di orrori, nel passato e anche oggi |
La memoria
246.
Da chi ha sofferto molto in modo ingiusto e crudele, non si deve esigere una
specie di “perdono sociale”. La riconciliazione è un fatto personale, e nessuno
può imporla all’insieme di una società, anche quando abbia il compito di
promuoverla. Nell’ambito strettamente personale, con una decisione libera e
generosa, qualcuno può rinunciare ad esigere un castigo (cfr Mt 5,44-46),
benché la società e la sua giustizia legittimamente tendano ad esso. Tuttavia
non è possibile decretare una “riconciliazione generale”, pretendendo di
chiudere le ferite per decreto o di coprire le ingiustizie con un manto di
oblio. Chi può arrogarsi il diritto di perdonare in nome degli altri? È
commovente vedere la capacità di perdono di alcune persone che hanno saputo
andare al di là del danno patito, ma è pure umano comprendere coloro che non
possono farlo. In ogni caso, quello che mai si deve proporre è il dimenticare.
247.
La Shoah non va dimenticata. È il «simbolo di dove può
arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica
la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto
qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa».[231] Nel
ricordarla, non posso fare a meno di ripetere questa preghiera: «Ricordati di
noi nella tua misericordia. Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come
uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria,
di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal
fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita. Mai più, Signore, mai
più!».[232]
249.
È facile oggi cadere nella tentazione di voltare pagina dicendo che ormai è
passato molto tempo e che bisogna guardare avanti. No, per amor di Dio! Senza
memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e
luminosa. Abbiamo bisogno di mantenere «la fiamma della coscienza collettiva,
testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde», che
«risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la
coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e
di distruzione».[234] Ne
hanno bisogno le vittime stesse – persone, gruppi sociali o nazioni – per non
cedere alla logica che porta a giustificare la rappresaglia e ogni violenza in
nome del grande male subito. Per questo, non mi riferisco solo alla memoria
degli orrori, ma anche al ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato
e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli o grandi
gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità. Fa molto bene
fare memoria del bene.
[231] Discorso nella Cerimonia di benvenuto, Tel Aviv – Israele (25 maggio 2014): Insegnamenti,
II, 1 (2014), 604.
[232] Discorso presso il Memoriale di Yad Vashem, Gerusalemme (26
maggio 2014): AAS 106 (2014), 228.
[233] Discorso presso il Memoriale della Pace, Hiroshima – Giappone (24 novembre 2019): L’Osservatore Romano,
25-26 novembre 2019, p. 8.
Nessun commento:
Posta un commento