61. La Chiesa è chiamata a camminare con i popoli dell’Amazzonia. In America
Latina questo cammino ha avuto espressioni privilegiate come la Conferenza di
Vescovi a Medellín (1968) e la sua applicazione all’Amazzonia a Santarem
(1972);[79] e
poi a Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007). La strada
prosegue e il compito missionario, se vuole sviluppare una Chiesa dal volto
amazzonico, deve crescere in una cultura dell’incontro verso una «pluriforme
armonia».[80] Ma
perché sia possibile questa incarnazione della Chiesa e del Vangelo deve
risuonare, sempre nuovamente, il grande annuncio missionario.
62. Di fronte a tanti bisogni e tante angosce che gridano dal cuore
dell’Amazzonia, possiamo rispondere a partire da organizzazioni sociali,
risorse tecniche, spazi di dibattito, programmi politici, e tutto ciò può far
parte della soluzione. Ma come cristiani non rinunciamo alla proposta di fede
che abbiamo ricevuto dal Vangelo. Pur volendo impegnarci con tutti, fianco a
fianco, non ci vergogniamo di Gesù Cristo. Per coloro che lo hanno incontrato,
vivono nella sua amicizia e si identificano con il suo messaggio, è inevitabile
parlare di Lui e portare agli altri la sua proposta di vita nuova: «Guai a me
se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16).
63. L’autentica scelta per i più poveri e dimenticati, mentre ci spinge a
liberarli dalla miseria materiale e a difendere i loro diritti, implica che
proponiamo ad essi l’amicizia con il Signore che li promuove e dà loro dignità.
Sarebbe triste che ricevessero da noi un codice di dottrine o un imperativo
morale, ma non il grande annuncio salvifico, quel grido missionario che punta
al cuore e dà senso a tutto il resto. Né possiamo accontentarci di un messaggio
sociale. Se diamo la nostra vita per loro, per la giustizia e la dignità che
meritano, non possiamo nascondere ad essi che lo facciamo perché riconosciamo
Cristo in loro e perché scopriamo l’immensa dignità concessa loro da Dio Padre
che li ama infinitamente.
64. Essi hanno diritto all’annuncio del Vangelo, soprattutto a quel primo
annuncio che si chiama kerygma e che «è l’annuncio principale,
quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve
sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra».[81] È
l’annuncio di un Dio che ama infinitamente ogni essere umano, che ha
manifestato pienamente questo amore in Cristo crocifisso per noi e risorto
nella nostra vita. Propongo di rileggere un breve riassunto su tale tema
contenuto nel capitolo IV dell’Esortazione Christus vivit. Questo annuncio deve
risuonare costantemente in Amazzonia, espresso in molte modalità diverse. Senza
questo annuncio appassionato, ogni struttura ecclesiale diventerà un’altra ONG,
e quindi non risponderemo alla richiesta di Gesù Cristo: «Andate in tutto il
mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15).
65. Qualsiasi proposta di maturazione nella vita cristiana deve avere come
cardine permanente questo annuncio, perché «tutta la formazione cristiana è
prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi
carne sempre più e sempre meglio».[82] La
reazione fondamentale a questo annuncio, quando riesce a provocare un incontro
personale con il Signore, è la carità fraterna, quel «nuovo comandamento che è
il primo, il più grande, quello che meglio ci identifica come discepoli».[83] Pertanto,
il kerygma e l’amore fraterno costituiscono la grande sintesi
dell’intero contenuto del Vangelo che non si può fare a meno di proporre in
Amazzonia. È quello che hanno vissuto i grandi evangelizzatori dell’America
Latina come San Toribio de Mogrovejo o San José de Anchieta.
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