Ieri sera abbiamo partecipato con cuore
aperto e fede alla preghiera col Papa. Molti inviti alla “massima diffusione” per
richiamare tutti a seguire questo “evento epocale” facevano pensare che il Papa
con i suoi super poteri avrebbe tirato fuori la bacchetta magica e … No, non è quello
che ha fatto il Papa. Certamente una preghiera fatta da tutti in comunione ha un potere enorme. Invece, le reazioni che ricevo da ieri sono sopratutto “mi sono emozionato/a!”. Questo è normale. Tutto
parlava in quella celebrazione. La Parola si è
fatta carne, segno che si può vedere e toccare. La dimensione sacramentale è
costitutiva del Cristianesimo. Ma noi siamo sopratutto il popolo dell’ascolto. Il
primo comandamento è: “Ascolta Israele,…”. Con l’ascolto, Maria aveva scelto la
parte migliore al contrario di sua sorella Marta, tutta presa dalle molte cose da
fare.
Ho pensato che valeva la pena rileggere
e meditare con calma il Vangelo scelto dal Papa e le sue parole. Papa Francesco
non ha fatto un rito scaccia-virus come farebbe un sacerdote pagano, ma ha agito
come avrebbe agito Gesù: rivelare il senso di questo momento in rapporto all’uomo
e a Dio. Ascoltiamo il Vangelo e le parole del Papa:
In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo
all'altra riva». E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella
barca. C'erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran
tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli
se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli
dissero: «Maestro, non t'importa che moriamo?». Destatosi, sgridò il vento e
disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi
disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». E furono presi
da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, al quale
anche il vento e il mare obbediscono?». Marco
4,35-41
MOMENTO STRAORDINARIO DI
PREGHIERA
IN TEMPO DI EPIDEMIA
IN TEMPO DI EPIDEMIA
PRESIEDUTO DAL SANTO
PADRE
FRANCESCO
Sagrato della Basilica
di San Pietro
Venerdì, 27 marzo 2020
Venerdì, 27 marzo 2020
«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo
ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono
addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre
vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che
paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti,
lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli
del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e
furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e
disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a
remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci
siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia
dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non
possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è
capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati
e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va
a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel
Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi
viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli
in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei
discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di
credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non
t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che
Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre
famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non
t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà
scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una
volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle
false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i
nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo
lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla
nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i
propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri
popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente
“salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la
memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far
fronte all’avversità.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui
mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è
rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla
quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola
stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami
più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in
tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare
dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo
ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il
grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito
imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre
stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un
appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire
a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente:
“Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci
chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta.
Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere
che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che
non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e
verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari,
che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello
Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita
dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre
vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che
non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi
passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo
oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e
infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti,
trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma
tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla
sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e
sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola»
(Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde
speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti
padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti
piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando
abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone
pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio
silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è
saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli
affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle
stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre
paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a
bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene
tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle
nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a
risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità,
sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore
si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo
un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua
croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati
risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore
redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli
affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo
ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il
Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a
guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare
la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3),
che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.
Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte
le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro
affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo
lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi
dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di
fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere
la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e
le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire.
Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede,
che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e
sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera
vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute
del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia
Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione
di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori.
Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però
Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non
abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te
ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).
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