1. Una progressiva consapevolezza della centralità della dignità umana
10. Già nell’antichità classica[18] si profila una prima intuizione a riguardo della dignità umana, che procede da una prospettiva sociale: ogni essere umano viene rivestito di una dignità particolare, secondo il suo rango ed all’interno di un determinato ordine. Dall’ambito sociale, la parola è passata a descrivere la differente dignità degli esseri presenti nel cosmo. In questa visione, tutti gli esseri possiedono una loro “dignità” propria, secondo la loro collocazione nell’armonia del tutto. Certamente, alcune vette del pensiero antico iniziano a riconoscere un posto singolare all’essere umano, in quanto dotato di ragione e quindi capace di assumersi una responsabilità riguardo a se stesso e agli altri esseri nel mondo,[19] ma siamo ancora lontani da un pensiero capace di fondare il rispetto della dignità di ogni persona umana, al di là di ogni circostanza.
Prospettive bibliche
11. La Rivelazione biblica insegna che tutti gli esseri umani possiedono una dignità intrinseca perché sono creati a immagine e somiglianza di Dio: «Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza” […] E Dio creò l’essere umano a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1, 26-27). L’umanità ha una qualità specifica che la rende non riducibile alla pura materialità. L’“immagine” non definisce l’anima o le capacità intellettive bensì la dignità dell’uomo e della donna. Entrambi, nel loro mutuo rapporto di uguaglianza e vicendevole amore, espletano la funzione di rappresentare Dio nel mondo e sono chiamati a custodire e coltivare il mondo. Essere creati a immagine di Dio significa, pertanto, possedere in noi un valore sacro che trascende ogni distinzione sessuale, sociale, politica, culturale e religiosa. La nostra dignità ci viene conferita, non è né pretesa né meritata. Ogni essere umano è amato e voluto da Dio per sé stesso e quindi è inviolabile nella sua dignità. Nell’Esodo, cuore dell’Antico Testamento, Dio si mostra come colui che ascolta il grido del povero, vede la miseria del suo popolo, si prende cura degli ultimi e degli oppressi (cf. Es 3, 7; 22, 20-26). Si ritrova lo stesso insegnamento nel Codice deuteronomico (cf. Dt 12-26): qui l’insegnamento sui diritti si trasforma in “manifesto” della dignità umana, in particolare a favore della triplice categoria dell’orfano, della vedova e del forestiero (cf. Dt 24, 17). Gli antichi precetti dell’Esodo vengono richiamati e attualizzati dalla predicazione dei profeti, i quali rappresentano la coscienza critica di Israele. I profeti Amos, Osea, Isaia, Michea, Geremia hanno interi capitoli di denuncia dell’ingiustizia. Amos rimprovera aspramente l’oppressione del povero, il non riconoscere al misero nessuna fondamentale dignità umana (cf. Am 2, 6-7; 4, 1; 5, 11-12). Isaia pronuncia una maledizione contro coloro che calpestano i diritti dei poveri, negando loro ogni giustizia: «guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri» (Is 10, 1-2). Questo insegnamento profetico è ripreso dalla letteratura sapienziale. Il Siracide equipara l’oppressione dei poveri all'omicidio: «uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio» (Sir 34, 22). Nei Salmi, il rapporto religioso con Dio passa attraverso la difesa del debole e del bisognoso: «difendete il debole e l’orfano, al povero e al misero fate giustizia! Salvate il debole e l’indigente, liberatelo dalla mano dei malvagi!» (Sal 82, 3-4).
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