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domenica 11 novembre 2018

CENTENARIO DELL'ARMISTIZIO, NOTTE DEI CRISTALLI, LEGGI RAZZIALI - RESISTERE.

Una strada in una città tedesca dopo la notte dei cristalli.

Cento anni fa, l’11 novembre, giorno della festa di san Martino, patrono della Francia, fu firmato l’armistizio della Grande Guerra che aveva causato un milione di morti. Dal lato italiano era già firmato dal 4 novembre dopo 700 000 morti. Oggi parliamo con piena convinzione di “Inutile Strage” secondo le parole del Papa di allora, Benedetto XV. Però quella prima guerra mondiale ebbe luogo. Uscendone tutti dicevano: “mai più”, i francesi la chiamavano in un senso di rifiuto e di scaramanzia “La Der des der” espressione che sarebbe per “la dernière des dernières”, cioè l’Ultima guerra in assoluto. Quarant’anni prima c'era stato la guerra franco prussiana con le sue distruzioni e i suoi lutti. Appena vent’anni dopo iniziò la seconda guerra mondiale con centinaia di milioni di morti, la rivoluzione bolscevica in Russia e il suo regime di terrore, per parlare solo dei conflitti più conosciuti. Ottant’anni fa dopo un lungo processo di colpevolizzazione e di emarginazione degli ebrei ebbe luogo la “notte dei cristalli” in Germania che segnò l’inizio della Shoah, del piano di sterminio del popolo ebraico. Non c'era solo la Germania. Lo stesso anno, prima con una serie di decreti, si introdussero le leggi razziali in Italia e anche in altri paesi europei - tra  cui la Francia - si estendeva l’antisemitismo.
Molti ebrei che fuggivano le persecuzioni in Europa andando oltre atlantico furono respinti dagli Usa, dall’Argentina, ecc. C'erano ancora gli effetti della crisi del 1929 e ogni governo pensava ai suoi elettori, ai suoi disoccupati, ecc. Due giorni fa il Canada ha chiesto ufficialmente scusa agli ebrei per una nave di fuggitivi respinti. Ottant’anni dopo.
Purtroppo chi si illude che alcune cose sono del passato o che la pace che dura da ormai più di settant’anni tra i paesi dell’Unione Europea sia un dato definitivo (e che quindi si può indebolire l'UE impunemente), non comprende che gli stessi meccanismi di allora sono ancora operanti e che certi discorsi e l'indifferenza li alimentano. Ho visto un documentario ieri. La popolazione dei villaggi vicini è stata obbligata dai soldati americani a visitare un campo di concentramento tedesco appena liberato. La gente entra col sorriso: siete i vincitori, ma non abbiamo mai fatto male a nessuno, che sarà mai un campo per rinchiudere i delinquenti e oppositori politici, comunque non ci riguarda. Poi i volti diventano scuri, le teste si abbassano, piene di vergogna, di fronte alla realtà. La gente prende coscienza di far parte del popolo che si è macchiato di questi crimini, di non aver fatto tutto il possibile per contrastare questo orrore. 
Al convegno della Caritas Ambrosiana, il vescovo di Milano, Delpini, ha detto ieri: «Ma è proprio vero che il nostro benessere è in pericolo perché arrivano i migranti? Quando si definiscono le persone e le situazioni come minacciose allora la gente è anche motivata a fare la guerra. Dobbiamo allora usare questa parola, “resistere”, che significa perseverare anche quando è difficile. Dobbiamo attrezzarci per la resistenza alla omologazione che ci vuole ridurre tutti a consumatori con le stesse idee e parole. Dobbiamo attrezzarci per resistere alla paura che alimenta il conflitto. Dobbiamo anche resistere e perseverare in una pratica di accoglienza che ha mostrato che le paure non sono fondate e che, al contrario, l'attenzione alle persone è fruttuosa per il Paese. Dobbiamo, infine, resistere alla rassegnazione e alla stanchezza perché quando si cammina è naturale che ci si stanchi». «I fattori che rendono insignificanti gli adulti e gli anziani, le istituzioni e la tradizione rinchiudono i giovani in un presente senza via d’uscita, in una intelligenza ridotta a competenza tecnologica, in una informazione ridotta a indottrinamento da notizie ridotte a titoli e a immagini, in un tempo senza speranza, nella condizione di servi del faraone senza speranza di terra promessa».
«Dieci anni di crisi che hanno visto un arretramento dello Stato e la delega al volontariato hanno inciso sulla cultura. E' nata una sorta di sfiducia nelle comunità e un atteggiamento rancoroso, ostile non solo verso i poveri, e in particolare i migranti, ma anche verso chi li aiuta. Questo atteggiamento non ha riguardato solo chi aveva posizioni di chiusura ma anche gli operatori e i volontari. La difficoltà a rispondere ai bisogni ha generato questa sfiducia. La Caritas deve cogliere questa sfida e far vincere alle comunità la paura di perdere il benessere raggiunto e difenderlo dai nuovi che arrivano: un sfida enorme, visto il successo dei populismi», ha osservato Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.

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