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mercoledì 29 marzo 2017

PAPA FRANCESCO CONTRO LA RASSEGNAZIONE / Duomo di Milano 25 Marzo

Le suore nel Duomo di Milano
PENSO CHE FARA' BENE A TUTTI LEGGERE QUESTA RISPOSTA DI PAPA FRANCESCO E MEDITARLA.

Domanda 3 – Madre M. Paola Paganoni, osc
Santità, sono Madre Paola delle Orsoline e sono qui a nome di tutta la vita consacrata presente nella Chiesa milanese ma anche di tutta la Lombardia. La ringraziamo per la Sua presenza, ma soprattutto per la testimonianza di vita che Lei ci offre. Da santa Marcellina, sorella di Ambrogio, la vita consacrata nella Chiesa milanese fino ad oggi è stata presenza viva, significativa, con forme antiche – e le ha viste qui – e con forme nuove. Vogliamo chiederLe, Padre, come essere oggi, per l’uomo di oggi, testimoni di profezia, come Lei dice: custodi dello stupore, e testimoniare con la nostra povera vita però una vita che sia obbediente, vergine, povera e fraterna? E poi, date le nostre poche – sembriamo numerose, ma l’età è anziana – date le nostre poche forse, per il futuro, quali periferie esistenziali, quali ambiti scegliere, privilegiare in una consapevolezza ravvivata della nostra minorità – minorità nella società e minorità anche nella Chiesa? Grazie – Le assicuriamo il nostro ricordo quotidiano.
Papa Francesco:
Papa Francesco e il Cardinale Scola
Grazie. Mi piace, a me piace la parola “minorità”. E’ vero che è il carisma dei francescani, ma anche tutti noi dobbiamo essere “minori”: è un atteggiamento spirituale, la minorità, che è come il sigillo del cristiano. Mi piace che Lei abbia usato quella parola. E incomincerò da quest’ultima parola: minorità, la minoranza. Normalmente – ma non dico che sia il Suo caso – è una parola che si accompagna a un sentimento: “Sembriamo tanti, ma tante sono anziane, siamo poche…”. E il sentimento che è sotto qual è? La rassegnazione. Cattivo sentimento. Senza accorgerci, ogni volta che pensiamo o constatiamo che siamo pochi, o in molti casi anziani, che sperimentiamo il peso, la fragilità più che lo splendore, il nostro spirito comincia ad essere corroso dalla rassegnazione. E la rassegnazione conduce poi all’accidia… Mi raccomando, se avete tempo leggete quello che dicono i Padri del deserto sull’accidia: è una cosa che ha tanta attualità, oggi. Credo che qui nasce la prima azione alla quale dobbiamo fare attenzione: pochi sì, in minoranza sì, anziani sì, rassegnati no! Sono fili molto sottili che si riconoscono solo davanti al Signore esaminando la nostra interiorità. Il cardinale, quando ha parlato, ha detto due parole che mi hanno colpito tanto. Parlando della misericordia ha detto che la misericordia “ristora e dà pace”. Un buon rimedio contro la rassegnazione è questa misericordia che ristora e dà pace. Quando noi cadiamo nella rassegnazione, ci allontaniamo dalla misericordia, andiamo subito da qualcuno, da qualcuna, dal Signore a chiedere misericordia, perché ci ristori e ci dia la pace.
Quando ci prende la rassegnazione, viviamo con l’immaginario di un passato glorioso che, lungi dal risvegliare il carisma iniziale, ci avvolge sempre più in una spirale di pesantezza esistenziale. Tutto si fa più pesante e difficile da sollevare. E qui, questa è una cosa che non avevo scritto ma la dirò, perché è un po’ brutto dirla, ma scusatemi, succede, e la dirò. Incominciano a essere pesanti le strutture, vuote, non sappiamo come fare e pensiamo di vendere le strutture per avere i soldi, i soldi per la vecchiaia… Incominciano a essere pesanti i soldi che abbiamo in banca… E la povertà, dove va? Ma il Signore è buono, e quando una congregazione religiosa non va per la strada del voto di povertà, di solito le manda un economo o un’economa cattiva che fa crollare tutto! E questo è una grazia! [ride, applausi] Dicevo che tutto si fa più pesante e difficile da sollevare. E la tentazione
sempre è cercare le sicurezze umane. Ho parlato dei soldi, che sono una delle sicurezze più umane che abbiamo vicino. Perciò, fa bene a tutti noi rivisitare le origini, fare un pellegrinaggio alle origini, una memoria che ci salva da qualunque immaginazione gloriosa ma irreale del passato.
«Lo sguardo di fede è capace di riconoscere – dice la Evangelii gaudium – la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all’oscurità, senza dimenticare che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). La nostra fede è sfidata a intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata, e a scoprire il grano che cresce in mezzo della zizzania» (n. 84).
I nostri padri e madri fondatori non pensarono mai ad essere una moltitudine, o una gran maggioranza. I nostri fondatori si sentirono mossi dallo Spirito Santo in un momento concreto della storia ad essere presenza gioiosa del Vangelo per i fratelli; a rinnovare ed edificare la Chiesa come lievito nella massa, come sale e luce del mondo. Sto pensando, ho chiara la frase di un fondatore, ma tanti hanno detto lo stesso: “Abbiate paura della moltitudine”. Che non vengano tanti, per la paura di non formarli bene, la paura di non dare il carisma… Uno la chiamava la “turba multa”. No. Loro pensavano semplicemente a portare avanti il Vangelo, il carisma.
Credo che uno dei motivi che ci frenano o ci tolgono la gioia sta in questo aspetto. Le nostre congregazioni non sono nate per essere la massa, ma un po’ di sale e un po’ di lievito, che avrebbe dato il proprio contributo perché la massa crescesse; perché il Popolo di Dio avesse quel “condimento” che gli mancava. Per molti anni abbiamo avuto la tentazione di credere, e in tanti siamo cresciuti con l’idea che le famiglie religiose dovessero occupare spazi più che avviare processi, e questa è una tentazione. Noi dobbiamo avviare processi, non occupare spazi. Io ho paura delle statistiche, perché ci ingannano, tante volte. Ci dicono la verità da una parte, ma dopo subentra l’illusione e ci portano all’inganno. Occupare spazi più che avviare processi: eravamo tentati da questo perché pensavamo che siccome eravamo molti, il conflitto potesse prevalere sull’unità; che le idee (o la nostra impossibilità di cambiare) fossero più importanti della realtà; o che la parte (la nostra piccola parte o visione del mondo) fosse superiore al tutto ecclesiale (cfr ibid., 222-237). E’ una tentazione. Ma io non ho mai visto un pizzaiolo che per fare la pizza prenda mezzo chilo di lievito e 100 grammi di farina, no. E’ al contrario. Il lievito, poco, per far crescere la farina.
Oggi la realtà ci interpella, oggi la realtà ci invita ad essere nuovamente un po’ di lievito, un po’ di sale. Ieri sera, nell’Osservatore Romano, che esce alla sera ma con la data di oggi, c’è il congedo delle ultime due Piccole Sorelle di Gesù dall’Afghanistan, tra i musulmani, perché non c’erano più [suore] e ormai dovevano, anziane, tornare. Parlavano l’afghano. Benvolute da tutti: musulmani, cattolici, cristiani… Perché? Perché testimoni. Perché? Perché consacrate a Dio Padre di tutti. E io ho pensato, ho detto al Signore, mentre leggevo questo – cercate questo, oggi, sull’Osservatore Romano, che ci farà pensare a quello su cui Lei ha fatto la domanda –: “Ma Gesù, perché lasci quella gente così?”. E mi è venuto in mente il popolo coreano, che ha avuto all’inizio tre-quattro missionari cinesi – all’inizio – e poi per due secoli il messaggio è stato portato avanti solo dai laici. Le strade del Signore sono come Lui vuole che siano. Ma ci farà bene fare un atto di fiducia: è Lui che conduce la storia! E’ vero. Noi facciamo di tutto per crescere, per essere forti… Ma non la rassegnazione. Avviare processi. Oggi la realtà ci interpella – ripeto – la realtà ci invita ad essere nuovamente un po’ di lievito, un po’ di sale. Potete pensare un pasto con molto sale? Nessuno lo mangerebbe. Oggi, la realtà – per molti fattori che non possiamo ora fermarci ad analizzare – ci chiama ad avviare processi più che occupare spazi, a lottare per l’unità più che attaccarci a conflitti passati, ad ascoltare la realtà, ad aprirci alla “massa”, al santo Popolo fedele di Dio, al tutto ecclesiale. Aprirci al tutto ecclesiale.
Una minoranza benedetta, che è invitata nuovamente a lievitare, lievitare in sintonia con quanto lo Spirito Santo ha ispirato nel cuore dei vostri fondatori e nel cuore di voi stesse. Questo è quello che ci vuole oggi.
Passo a un’ultima cosa. Non oserei dirvi a quali periferie esistenziali deve dirigersi la missione, perché normalmente lo Spirito ha ispirato i carismi per le periferie, per andare nei luoghi, negli angoli solitamente abbandonati. Non credo che il Papa possa dirvi: occupatevi di questa o di quella. Ciò che il Papa può dirvi è questo: siete poche, siete pochi, siete quelli che siete, andate nelle periferie, andate ai confini a incontrarvi col Signore, a rinnovare la missione delle origini, alla Galilea del primo incontro, tornare alla Galilea del primo incontro! E questo farà bene a tutti noi, ci farà crescere, ci farà moltitudine. Mi viene alla mente adesso la confusione che avrà avuto il nostro Padre Abramo: gli hanno fatto guardare il cielo: “Conta le stelle!” - ma non poteva -, così sarà la tua discendenza”. E poi: “Il tuo unico figlio” - l’unico, l’altro se n’era andato già, ma questo aveva la promessa – “fallo salire sul monte e offrimelo in sacrificio”. Da quella moltitudine di stelle, a sacrificare il proprio figlio: la logica di Dio non si capisce. Soltanto, si obbedisce. E questa è la strada su cui dovete andare. Scegliete le periferie, risvegliate processi, accendete la speranza spenta e fiaccata da una società che è diventata insensibile al dolore degli altri. Nella nostra fragilità come congregazioni possiamo farci più attenti a tante fragilità che ci circondano e trasformarle in spazio di benedizione. Sarà il momento che il Signore vi dirà: “Fermati, c’è un capretto, lì. Non sacrificare il tuo unico figlio”. Andate e portate l’“unzione” di Cristo, andate. Non vi sto cacciando via! Soltanto dico: andate a portare la missione di Cristo, il vostro carisma.
E non dimentichiamo che «quando si mette Gesù in mezzo al suo popolo, il popolo trova gioia. Sì, solo questo potrà restituirci la gioia e la speranza, solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di sopravvivenza. Per favore no, questa è rassegnazione. Non sopravvivere, vivere! Solo questo renderà feconda la nostra vita e manterrà vivo il nostro cuore. Mettere Gesù là dove deve stare: in mezzo al suo popolo» (Omelia nella S. Messa della Presentazione del Signore, XXI G.M. della vita consacrata, 2 febbraio 2017). E questo è il vostro compito. Grazie, madre. Grazie.
E adesso, preghiamo insieme. Vi darò la benedizione e vi chiedo, per favore, di pregare per me perché ho bisogno di essere sostenuto dalle preghiere del popolo di Dio, dei consacrati e dei sacerdoti. Grazie tante.




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