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giovedì 19 giugno 2025

HOMOOÙSIOS. PERCHÉ USARE TERMINI NON BIBLICI / 10 NICEA, Gesù Cristo, ... nn. 15 - 17.


 

1.2. Riflessione sul ricorso all’espressione homooúsios

15. Uno dei contributi centrali di Nicea è la definizione della divinità del Figlio nei termini di una consustanzialità: il Figlio è “consustanziale” (homooúsios) al Padre, “generato dal Padre”, “cioè della stessa sostanza del Padre”.[21]La generazione del Figlio è altra cosa rispetto alla creazione, perché si tratta di una comunicazione dell’unica sostanza del Padre. Il Figlio è non solo pienamente Dio come il Padre, ma anche di una sostanza numericamente identica alla sua, poiché non vi è alcuna divisione nel Dio Uno.[22]Ripetiamolo: il Padre dona tutto al Figlio, secondo la logica di una vita divina che è agapē e che eccede sempre ciò che lo spirito umano può concepire. 

16. Per la prima volta termini non scritturistici vengono impiegati in un testo ecclesiale ufficiale e normativo – vi torneremo nei capitoli III e IV. L’intenzione dei Padri del Concilio non era quella di introdurre una novità nella fede apostolica, ma di proteggerla esplicitando ciò che realmente è la generazione in Dio. È per questo che nel Simbolo del 325, homooúsios viene introdotto con l’espressione “cioè”: la terminologia greca ontologica è al servizio delle espressioni tradizionali della Scrittura.[23]Il termine, di origine gnostica e condannato dal Sinodo regionale di Antiochia (264-269), sarà molto discusso nei decenni che seguiranno Nicea. Ma a partire dagli anni 360 le adesioni si moltiplicarono, fino alla sua piena e pacifica ratifica a Costantinopoli (381). Viene così riconosciuto il suo ruolo di esplicitazione e protezione della fede, come pure la capacità creativa della ragione umana, della filosofia e della cultura, nell’accogliere la Rivelazione. Come già accade con le Sacre Scritture, ciò sottolinea che la Rivelazione implica un dialogo tra Dio e l’uomo, un dialogo che si fa da entrambe le parti attraverso parole umane, situate, limitate, e dunque sempre da interpretare. Non soltanto la vita divina si rivela come sovrabbondanza, ma la forma stessa della Rivelazione, capace di esprimersi in parole umane, e di tradursi ben presto in tutte le lingue, si mostra qui semper major. 

17. Questa espressione non è però la sola utilizzata nel Simbolo per esprimere la divinità salvifica del Figlio. Essa si trova inserita in una serie di termini di origine scritturistica e liturgica: “Dio vero da Dio vero”, “Dio da Dio”[24] e “luce da luce”. Nessuno di questi termini può da solo esaurire la sovrabbondante pienezza della Rivelazione. La fede ha bisogno dell’articolazione di espressioni scritturistiche, filosofiche e liturgiche, di concetti, di immagini e di nomi divini (Padre, Figlio e Spirito Santo) per esprimersi nel modo più giusto e più completo. I modi di espressione delle diverse Chiese e comunità ecclesiali possono sostenersi mutuamente in questa riscoperta, dato che alcuni insistono di più sull’una o sull’altra: così, la tradizione orientale mette l’accento sulla comprensione di Cristo come “luce da luce”.[25] La pluralità del suo vocabolario contribuisce senz’altro a rendere la fede che vi è espressa accessibile a differenti culture e secondo la forma mentis di ciascun essere umano. 


[21] Versione del Simbolo di Nicea (325).

[22] «Non è un Dio di altro genere, ma il Padre e il Figlio sono una cosa sola»: Ilario di Poitiers, De Trinitate, VIII, 41, trad. it. di A. Orazzo, vol. 2, p. 89.

[23] Cf. B. Sesboüé, Storia dei Dogmi. 1. Il Dio della salvezza: I-VIII secolo, Dio, la Trinità, il Cristo, l’economia della Salvezza, Casale Monferrato, Piemme 1996, p. 222.

[24] Versione latina del Simbolo di Nicea-Costantinopoli, a partire dalla versione tradotta da Rustico nel VI secolo: cf. I. Ortiz de Urbina, Storia dei Concili Ecumenici vol. I, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, p. 172.

[25] Si vedano Efrem e Gregorio Palamas, ma anche Ambrogio: Splendor paternae gloriae come commento a lumen de lumine, in Sant’Ambrogio, Opere poetiche e frammenti. Inni – Iscrizioni – Frammenti, a cura di G. Banterle, G. Biffi, I. Biffi, L. Migliavacca, Opera Omnia di Sant’Ambrogio 22, Biblioteca Ambrosiana – Città Nuova Editrice, Milano-Roma 1994, Inno II, pp. 34-37.


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