Nell’incontrare i Vescovi italiani (Ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana (17 giugno 2025) | LEONE XIV) Papa Leone tra altri ha evidenziato alcuni punti:
“Papa Benedetto XVI, nel 2006, descrisse la Chiesa in Italia come «una realtà molto viva, […] che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione» e dove «le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti» (Discorso al IV Convegno Ecclesiale Nazionale, 19 ottobre 2006). Ciò nonostante, la Comunità cristiana di questo Paese si trova da tempo a dover affrontare nuove sfide, legate al secolarismo, a una certa disaffezione nei confronti della fede e alla crisi demografica. In questo contesto – osservava Papa Francesco – «ci è chiesta audacia per evitare di abituarci a situazioni che tanto sono radicate da sembrare normali o insormontabili. La profezia – diceva – non esige strappi, ma scelte coraggiose, che sono proprie di una vera comunità ecclesiale: portano a lasciarsi “disturbare” dagli eventi e dalle persone e a calarsi nelle situazioni umane, animati dallo spirito risanante delle Beatitudini” (Discorso in apertura della 70ª Assemblea Generale della CEI, 22 maggio 2017)”.
Che differenza tra la prudente frase di Papa Benedetto, che potrebbe portare a una certa autosoddisfazione e la parola coraggiosa e profetica di Papa Francesco! Sulla scia di Papa Francesco, Papa Leone dà indicazioni “che richiedono riflessione, azione concreta e testimonianza evangelica” :
“Innanzitutto, è necessario uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede. Si tratta di porre Gesù Cristo al centro e, sulla strada indicata da Evangelii gaudium, aiutare le persone a vivere una relazione personale con Lui, per scoprire la gioia del Vangelo. In un tempo di grande frammentarietà è necessario tornare alle fondamenta della nostra fede, al kerygma. Questo è il primo grande impegno che motiva tutti gli altri: portare Cristo “nelle vene” dell’umanità (cfr Cost. ap. Humanae salutis, 3), rinnovando e condividendo la missione apostolica: «Ciò che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,3). E si tratta di discernere i modi in cui far giungere a tutti la Buona Notizia, con azioni pastorali capaci di intercettare chi è più lontano e con strumenti idonei al rinnovamento della catechesi e dei linguaggi dell’annuncio”.
Quando chiedo alle persone: “cos'è il Cristianesimo?, qual è la Buona Notizia?” li vedo incerti, frammentati. Raramente testimoniano di un incontro personale con il Signore risorto. E raramente arrivano, anche a parole, al punto centrale. È ovvio allora che il loro impegno non può essere profondo, determinato e costante, ma soprattutto autenticamente cristiano. Quando sono zelanti lo sono per dei particolari, per la difesa di tradizioni eventualmente superate o devianti.
“La relazione con Cristo ci chiama a sviluppare un’attenzione pastorale sul tema della pace. Il Signore, infatti, ci invia al mondo a portare il suo stesso dono: “La pace sia con voi!”, e a diventarne artigiani nei luoghi della vita quotidiana. Penso alle parrocchie, ai quartieri, alle aree interne del Paese, alle periferie urbane ed esistenziali. Lì dove le relazioni umane e sociali si fanno difficili e il conflitto prende forma, magari in modo sottile, deve farsi visibile una Chiesa capace di riconciliazione. L’apostolo Paolo ci esorta così: «Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18); è un invito che affida a ciascuno una porzione concreta di responsabilità. Auspico, allora, che ogni Diocesi possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro. Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa”.
Negli episodi più violenti successi di recente tra noi, se ci fosse stato un solo cristiano educato al Vangelo tra le persone implicate, probabilmente non ci sarebbero stati morti. Ma l’educazione al rompere la spirale della violenza non si improvvisa. E purtroppo la nostra Iniziazione cristiana dei bambini e dei giovani è insufficiente, e possiamo dire che la nostra azione verso gli adulti è quasi inesistente.
“Ci sono poi le sfide che interpellano il rispetto per la dignità della persona umana. L’intelligenza artificiale, le biotecnologie, l’economia dei dati e i social media stanno trasformando profondamente la nostra percezione e la nostra esperienza della vita. In questo scenario, la dignità dell’umano rischia di venire appiattita o dimenticata, sostituita da funzioni, automatismi, simulazioni. Ma la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero. Mi permetto allora di esprimere un auspicio: che il cammino delle Chiese in Italia includa, in coerente simbiosi con la centralità di Gesù, la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale. Senza una riflessione viva sull’umano – nella sua corporeità, nella sua vulnerabilità, nella sua sete d’infinito e capacità di legame – l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata.
Solo dove c’è ascolto può nascere comunione, e solo dove c’è comunione la verità diventa credibile. Vi incoraggio a continuare su questa strada!
Annuncio del Vangelo, pace, dignità umana, dialogo: sono queste le coordinate attraverso cui potrete essere Chiesa che incarna il Vangelo ed è segno del Regno di Dio”.
Queste indicazioni del Papa rivolte ai vescovi sono rivolte a tutti noi. Meditiamole.
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