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sabato 28 giugno 2025

COGLIERE L'IMMENSITÀ DI CRISTO SALVATORE / 13 NICEA, Gesù Cristo, ... nn. 21-22



2. Cogliere l’immensità di Cristo Salvatore e del suo atto salvifico

21. Al cuore del secondo articolo del Simbolo di Nicea-Costantinopoli si trova la confessione dell’Incarnazione e dell’atto redentore del Figlio. Dopo aver professato la divinità di Cristo, Figlio di Dio, noi confessiamo anche che: 

[Noi crediamo in un solo Signore Gesù Cristo]

che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,

e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria[32] e si è

fatto uomo;

fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto,

e il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture, è salito al cielo,

siede alla destra del Padre e di nuovo verrà nella gloria

a giudicare i vivi e i morti;

e il suo regno non avrà fine.


2.1. Vedere Cristo in tutta la sua grandezza 

22. Nicea ci permette di «concepire il Cristo in tutta la sua grandezza».[33] Le due dimensioni che fanno di lui l’unico mediatore tra Dio e gli uomini sono evidenziate mediante la menzione dei due attori dell’Incarnazione: «Egli si è incarnato per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine». È pienamente Dio, lui che proviene da una Vergine per la potenza dello Spirito di Dio; è pienamente uomo, lui che nasce da una donna. È homooúsios al Padre ma anche a noi secondo il duplice enunciato affermato più tardi a Calcedonia[34] – laddove il termine homooúsios non può avere un senso univoco quando si tratta di rapportare il Figlio incarnato al Padre piuttosto che agli esseri umani. Il Verbo che si fa carne è la stessa Parola di Dio, che assume in maniera unica e irreversibile un’umanità singolare e finita. Proprio perché Gesù era personalmente (ipostaticamente) identico al Figlio eterno ha potuto, patendo la morte umana in modo tragico, rimanere in relazione vivente col Padre e trasformare la separazione da Dio, cioè il peccato e la morte (cf. Rm 6,23), in accesso a Dio (cf. 1Cor 15,54-56; Gv 14,6b). Proprio perché Gesù era veramente uomo – «in tutto simile a noi, tranne che nel peccato» (Eb 4,15) – ha potuto assumere il nostro peccato e passare attraverso la morte. Questa duplice consustanzialità fa sì che solo Cristo possa salvare. Lui solo può operare la salvezza. Lui solo è la comunione degli esseri umani col Padre.[35]Lui solo è il Salvatore di tutti gli esseri umani di tutti i tempi. Nessun altro essere umano lo potrebbe essere prima di lui o dopo di lui. L’inaudito della perfetta comunione tra Dio e l’uomo si è realizzato in Cristo, al di là di qualsiasi forma di realizzazione che l’essere umano possa immaginare a partire da sé. 


[32] La versione latina del Simbolo distingue il fatto che il Cristo abbia preso carne “per opera (de)” dello Spirito Santo e “dalla (ex)” Vergine Maria.

[33] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico, Queriniana, Brescia 202326, p. 24.

[34] «Seguendo i santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo [composto] di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità, e consustanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato (Eb 4,15), generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l’umanità», Concilio Ecumenico di Calcedonia, DH 301.

[35] «L’uomo non sarebbe stato divinizzato se fosse stato unito ad una creatura, ovvero se il Figlio non fosse stat overo Dio, e l’uomo non starebbe da presso al Padre se non fosse stato il naturale e vero Logos del Padre ad indossare il corpo. Come non saremmo stati liberati dal peccato e dalla maledizione se la carne indossata dal Logos non fosse stata per natura umana (non avremmo infatti nulla in comune con ciò che è da noi estraneo)»: Atanasio, Trattati contro gli ariani II, 70, trad. it. di P. Podolak, Città Nuova, Roma 2003, p. 227.


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