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domenica 24 luglio 2022

(15) CHE COSA E' L'ARTE DI CELEBRARE, L'ARS CELEBRANDI? / Desiderio desideravi nn. 48-50.

 


Ars celebrandi

48. Un modo per custodire e per crescere nella comprensione vitale dei simboli della Liturgia è certamente quello di curare l’arte del celebrare. Anche questa espressione è oggetto di diverse interpretazioni. Essa si chiarisce se viene compresa avendo come riferimento il senso teologico della Liturgia descritto in Sacrosanctum Concilium al n. 7 e che abbiamo più volte richiamato. L’ars celebrandi non può essere ridotta alla sola osservanza di un apparato rubricale e non può nemmeno essere pensata come una fantasiosa – a volte selvaggia – creatività senza regole. Il rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se stessa, ma sempre a servizio della realtà più alta che vuole custodire.

49. Come ogni arte, richiede diverse conoscenze.

Anzitutto la comprensione del dinamismo che descrive la Liturgia. Il momento dell’azione celebrativa è il luogo nel quale attraverso il memoriale si fa presente il mistero pasquale perché i battezzati, in forza della loro partecipazione, possano farne esperienza nella loro vita: senza questa comprensione facilmente si cade nell’esteriorismo (più o meno raffinato) e nel rubricismo (più o meno rigido).

Occorre, poi, conoscere come lo Spirito Santo agisce in ogni celebrazione: l’arte del celebrare deve essere in sintonia con l’azione dello Spirito. Solo così sarà libera da soggettivismi, che sono il frutto del prevalere di sensibilità individuali, e da culturalismi, che sono acquisizioni acritiche di elementi culturali che non hanno nulla a che vedere da un corretto processo di inculturazione.

È necessario, infine, conoscere le dinamiche del linguaggio simbolico, la sua peculiarità, la sua efficacia.

50. Da questi brevi cenni, risulta evidente che l’arte del celebrare non si può improvvisare. Come ogni arte richiede applicazione assidua. Ad un artigiano basta la tecnica; ad un artista, oltre alle conoscenze tecniche, non può mancare l’ispirazione che è una forma positiva di possessione: l’artista, quello vero, non possiede un’arte ne è posseduto. Non si impara l’arte del celebrare perché si frequenta un corso di public speaking o di tecniche di comunicazione persuasiva (non giudico le intenzioni, vedo gli effetti). Ogni strumento può essere utile ma deve sempre essere sottomesso alla natura della Liturgia e all’azione dello Spirito. Occorre una diligente dedizione alla celebrazione lasciando che sia la celebrazione stessa a trasmetterci la sua arte. Scrive Guardini: «Dobbiamo renderci conto di quanto profondamente siamo ancora radicati nell’individualismo e nel soggettivismo, di quanto siamo disabituati al richiamo delle grandezze e di quanto sia piccola la misura della nostra vita religiosa. Deve risvegliarsi il senso dello stile grande della preghiera, la volontà di coinvolgere anche in essa la nostra esistenza. Ma la via verso queste mète è la disciplina, la rinuncia ad una sentimentalità morbida; un serio lavoro, svolto in obbedienza alla Chiesa, in rapporto al nostro essere e al nostro comportamento religioso». [15] È così che si impara l’arte del celebrare.

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