Cari fratelli e sorelle, … E il mare mi porta un po’ lontano
col pensiero: a Istanbul. Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato.
Così
il papa all’Angelus di domenica scorsa. Anche noi siamo molto addolorati. Tutti sanno
che la magnifica Cattedrale Santa Sofia, “Ayasofia” cuore del Cristianesimo
ortodosso per un millennio, fu trasformata in moschea 5 secoli fa dagli
ottomani. Nel 1934, era diventata un museo aperto a tutti per decreto del capo
dello Stato di allora, Ataturk, che voleva modernizzare e secolarizzare la
Turchia, dandole un volto più europeo. Con lo statuto di museo è stata inserita
nel Patrimonio mondiale dell’umanità. In questi giorni il Presidente Erdogan ha
deciso di riconvertirla in moschea con la prima preghiera venerdì 24 luglio.
I
patriarchi ortodossi di tutto il mondo hanno reagito molto duramente alla
decisione del presidente turco Erdogan e perfino l’arcivescovo ortodosso di
Cipro accusò i turchi di essere un popolo barbaro e senza civiltà, che sa solo
distruggere i valori degli altri. Per comprendere, bisogna dire che Cipro e altri luoghi hanno avuto una storia molto
difficile lungo i secoli con i turchi e l’isola è ancora divisa dopo
l’invasione turca del 1974.
Il Cristianesimo
non ha tempio, il suo unico tempio è Gesù Cristo. Questo non impedisce che l’Incarnazione
di Cristo e la vita dei suoi discepoli sia Storia e abbia dei luoghi. E,
chiaramente il gesto del Presidente Erdogan è politico e divisivo, proprio nel momento
in cui anche per l’impulso, forse preponderante, del Papa e della Chiesa Cattolica
che applica gli indirizzi del Concilio Vaticano II, da parte musulmana e cristiana
si cerca la pace per l’unica umanità, attraverso il rispetto reciproco e il
dialogo e l’azione positiva verso le persone, specialmente i più poveri e
fragili.
Infatti
importanti comunità musulmane in Italia hanno criticato la decisione turca
affermando: “siamo vicini al pensiero di papa Francesco”, considerando che quello
del presidente turco è un atto dove la religione non c’entra nulla.
I proclami
e le decisioni strettamente identitari (noi-loro; usiamo la forza contro i nemici,
gli invasori, ecc.) non sono usati dai politici per il bene delle persone e dei
popoli, per il progresso e il futuro dell’umanità e del pianeta, ma per conquistare
voti e potere e spesso per mascherare i loro fallimenti in altri campi. La politica
della tensione produce spesso la reazione di chi è aggredito e quando questi è
in minoranza o più debole, diventa “capro espiatorio”, al quale si possono
addossare tutti i propri fallimenti e sul quale scaricare le proprie
frustrazioni. Così fanno tutti i regimi fascisti e totalitari lungo la Storia. E
la Storia, anche recente dell’Italia e dell’Europa, ha sempre dimostrato con chiarezza
che il risultato finale è un impoverimento di tutti, una serie di catastrofi. Quello
che si fa oggi in questo senso avrà lo stesso risultato, ovunque si usi questo schema,
in qualunque continente e nazione. Un leader compatterà le sue truppe, avrà
potere forse per un certo tempo, e tutti avranno da perdere alla fine.
Per questo
era necessario non rispondere alla polemica
turca da parte del Papa, ed esprimere un chiaro dolore per quello che è stato
deciso. Il fatto che il Papa non abbia parlato prima, non abbia usato toni
forti, non significa che non si sia impegnato intensamente per scongiurare quella
decisione tramite interventi della Diplomazia della Santa Sede attraverso incontri privati.
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