È stata appena pubblicata una Istruzione su “La conversione pastorale della comunità
parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” a cura
della Congregazione per il Clero. Vale la pena rileggerla con calma insieme per
trarne tutti gli stimoli positivi che ci aiuteranno nel nostro cammino di
comunità cristiana. Ma subito, i titoli dei giornali hanno turbato molti facendo
credere che tutto stesse cambiando nella Chiesa. Invece, a leggere il documento,
ci accorgiamo che non cambia nulla sul piano giuridico. Dice invece della necessità
di venire incontro alle persone che vivono in una società in movimento, e di
non rinchiudersi in schemi ripetitivi che non riescono più a portare la Forza
della Buona Notizia. Quindi, auspicando che si inventino nuove forme,
raccomanda di usare soluzioni che non sono nuove, ma che finora tra noi sono
state inutilizzate, perché ignorate oppure non necessarie. Vediamo due punti.
La
celebrazione dei funerali. La prima
volte che ho visto un’equipe di laici guidare un funerale fu nel 1997 in Francia.
Il parroco aveva 22 villaggi da servire e il suo predecessore, molto stimato dai
fedeli, riceveva solo a casa per la cattiva salute. Cosa avrebbe dovuto fare il
parroco? Ma, da allora, la celebrazione di funerali guidata da laici è
diventata comune anche nella mia zona di origine. E non c'è solo la Francia o i
nostri paesi occidentali. Prendiamo il caso di una diocesi del Congo di 700.000
abitanti con solo 22 preti, cioè circa un prete ogni 30.000 persone, mentre in
Italia abbiamo in media un prete per 1.700 persone. Potremmo in coscienza,
perché “manchiamo di preti” come ci si lamenta, trattenere uno di questi preti
in Italia? Alla
conclusione del Sinodo per l’Amazzonia papa Francesco stesso ha sottolineato
che troppi preti del Sud del mondo vogliano andare nei paesi dell’Occidente
ricco piuttosto che servire i loro popoli. In ogni caso l'opera più estesa dei laici è indispensabile.
Il funerale invece non è un sacramento. È una riunione di
preghiera intensa da parte dei familiari e degli amici, della comunità, attorno
a chi è stato chiamato dal Signore e rende conto della sua vita.
Il
matrimonio invece è un sacramento, ma ministri del matrimonio sono gli stessi
sposi attraverso lo scambio dei consensi. Il prete o il diacono non dona il sacramento del
matrimonio agli sposi ma benedice soltanto le loro nozze, ricevendo
ufficialmente il loro consenso come testimone, assieme ai testimoni scelti
dagli sposi. Infatti siamo già abituati a vedere dei matrimoni “celebrati”,
cioè benedetti, da diaconi e nessuno ci trova da ridire. Però questa
possibilità, proprio per la natura stessa del sacramento del matrimonio esiste
da sempre. Durante la seconda guerra mondiale, per colpire i sentimenti
religiosi della popolazione cattolica, il feroce governatore nazista della
Polonia aveva vietato di celebrare i matrimoni ai preti. I vescovi non si sono
persi d’animo e hanno delegato (siamo nel 1941!) dei laici per benedire e registrare
i matrimoni, che si sono così celebrati con piena validità, nelle case.
Quindi nulla di nuovo in questa Istruzione sotto un certo
aspetto. La novità molto seria è che il Papa spinge ad una necessaria apertura
di mentalità di tutti noi per rispondere in modo conforme al Vangelo alle
condizioni di vita nuove delle persone di oggi, e in particolare portare la
Buona Notizia di Gesù risorto a tutti, vicini e lontani.
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