Infiorata storica di Roma per la festa dei santi Patroni. Pontilenews. Un'immagine suggestiva della comunione tra i due santi apostoli che continua nel tempo. |
Ho fatto questa mattina una piccola riflessione sul ruolo dei Cardinali
partendo dall’omelia che papa Francesco ha pronunciata durante il Concistoro anche
citandone alcune frasi. Ma vale la pena di leggere con calma e attenzione tutta l’omelia!
È una visione di Chiesa che sgorga direttamente dal Vangelo, verso la quale
camminiamo sempre di più e che tutti dobbiamo incarnare nella nostra vita. Anche
la citazione di Papa Giovanni XXIII, obbligato ad assumere “apparenze di
agiatezza” che avevano un costo in denaro e quindi, con suo rammarico, hanno limitato la sua capacità di
fare la carità ai veri bisognosi è molto illuminante sul dovere della Chiesa di
“essere povera e apparire povera” (PaoloVI).
Omelia del
Santo Padre al Concistoro del 28 giugno
«Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti[1] a loro» (Mc 10,32).
«Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti[1] a loro» (Mc 10,32).
L’inizio di
questo paradigmatico passo di Marco ci aiuta sempre a vedere come il Signore si
prende cura del suo popolo con una pedagogia impareggiabile. In cammino verso
Gerusalemme, Gesù non trascura di precedere (primerear) i suoi.
Gerusalemme rappresenta l’ora
delle grandi determinazioni e decisioni. Tutti sappiamo che, nella vita, i
momenti importanti e cruciali lasciano parlare il cuore e mostrano le
intenzioni e le tensioni che ci abitano. Tali incroci dell’esistenza ci
interpellano e fanno emergere domande e desideri non sempre trasparenti del
cuore umano. E’ quello che rivela, con grande semplicità e realismo, il brano
del Vangelo che abbiamo appena ascoltato. A fronte del terzo e più duro
annuncio della passione, l’Evangelista non teme di svelare certi segreti del
cuore dei discepoli: ricerca dei primi posti, gelosie, invidie, intrighi,
aggiustamenti e accordi; una logica che non solo logora e corrode da dentro i
rapporti tra loro, ma che inoltre li chiude e li avvolge in discussioni inutili
e di poco conto. Gesù però non si ferma su questo, ma va avanti, li precede
(primerea) e con forza dice loro: «Tra voi non è così; ma chi vuole diventare
grande tra voi sarà vostro servitore» (Mc 10,43). Con tale atteggiamento, il
Signore cerca di ricentrare lo sguardo e il cuore dei suoi discepoli, non
permettendo che le discussioni sterili e autoreferenziali trovino spazio in
seno alla comunità. A che serve guadagnare il mondo intero se si è corrosi
all’interno? A che serve guadagnare il mondo intero se si vive tutti presi da
intrighi asfissianti che inaridiscono e rendono sterile il cuore e la missione?
In questa situazione – come qualcuno ha osservato – si potrebbero già
intravedere gli intrighi di palazzo, anche nelle curie ecclesiastiche.
«Tra voi
però non è così»: risposta del Signore che, prima di tutto, è un invito e una
scommessa per recuperare il meglio che c’è nei discepoli e così non lasciarsi
rovinare e imprigionare da logiche mondane che distolgono lo sguardo da ciò che
è importante. «Tra voi non è così»: è la voce del Signore che salva la comunità
dal guardare troppo sé stessa invece di rivolgere lo sguardo, le risorse, le
aspettative e il cuore a ciò che conta: la missione.
E così Gesù
ci insegna che la conversione, la trasformazione del cuore e la riforma della
Chiesa è e sarà sempre in chiave missionaria, perché presuppone che si cessi di
vedere e curare i propri interessi per guardare e curare gli interessi del
Padre. La conversione dai nostri peccati, dai nostri egoismi non è e non sarà
mai fine a sé stessa, ma mira principalmente a crescere in fedeltà e
disponibilità per abbracciare la missione. E questo in modo tale che, nell’ora
della verità, specialmente nei momenti difficili dei nostri fratelli, siamo ben
disposti e disponibili ad accompagnare e accogliere tutti e ciascuno, e non ci
trasformiamo in ottimi respingenti, o per ristrettezza di vedute[2] o, peggio
ancora, perché stiamo discutendo e pensando tra di noi chi sarà il più
importante. Quando ci dimentichiamo della missione, quando perdiamo di vista il
volto concreto dei fratelli, la nostra vita si rinchiude nella ricerca dei
propri interessi e delle proprie sicurezze. E così cominciano a crescere il
risentimento, la tristezza e il disgusto. A poco a poco viene meno lo spazio
per gli altri, per la comunità ecclesiale, per i poveri, per ascoltare la voce
del Signore. Così si perde la gioia e il cuore finisce per inaridirsi (cfr
Esort. ap. Evangelii gaudium, 2).
«Tra voi
però non è così; – ci dice il Signore – […] chi vuole essere il primo tra voi
sarà schiavo di tutti» (Mc 10,43.44). È la beatitudine e il magnificat che ogni
giorno siamo chiamati a intonare. È l’invito che il Signore ci fa perché non
dimentichiamo che l’autorità nella Chiesa cresce con questa capacità di
promuovere la dignità dell’altro, di ungere l’altro, per guarire le sue ferite
e la sua speranza tante volte offesa. È ricordare che siamo qui perché siamo
inviati a «portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la
liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a
proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Cari
fratelli Cardinali e neo-Cardinali! Mentre siamo sulla strada verso
Gerusalemme, il Signore cammina davanti a noi per ricordarci ancora una volta
che l’unica autorità credibile è quella che nasce dal mettersi ai piedi degli
altri per servire Cristo. È quella che viene dal non dimenticare che Gesù,
prima di chinare il capo sulla croce, non ha avuto paura di chinarsi davanti ai
discepoli e lavare loro i piedi. Questa è la più alta onorificenza che possiamo
ottenere, la maggiore promozione che ci possa essere conferita: servire Cristo
nel popolo fedele di Dio, nell’affamato, nel dimenticato, nel carcerato, nel
malato, nel tossicodipendente, nell’abbandonato, in persone concrete con le
loro storie e speranze, con le loro attese e delusioni, con le loro sofferenze
e ferite. Solo così l’autorità del pastore avrà il sapore del Vangelo e non
sarà «come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita» (1 Cor 13,1).
Nessuno di noi deve sentirsi “superiore” ad alcuno. Nessuno di noi deve
guardare gli altri dall’alto in basso. Possiamo guardare così una persona solo
quando la aiutiamo ad alzarsi.
Vorrei ricordare con voi una parte del testamento spirituale
di San Giovanni XXIII, che avanzando nel cammino ha potuto dire: «Nato povero,
ma da onorata ed umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero,
avendo distribuito secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita
semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa che mi ha
nutrito, quanto mi venne fra mano — in misura assai limitata del resto —
durante gli anni del mio sacerdozio e del mio episcopato. Apparenze di
agiatezza velarono, sovente, nascoste spine di affliggente povertà e mi
impedirono di dare sempre con la larghezza che avrei voluto. Ringrazio Iddio di
questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di
spirito, come Prete del S. Cuore, e povertà reale; e che mi sorresse a non
chiedere mai nulla, né posti, né danari, né favori, mai, né per me, né per i
miei parenti o amici» (29 giugno 1954).
[1] Il
verbo proago è lo stesso con cui Gesù risorto fa annunciare ai discepoli che li
“precederà” in Galilea (cfr Mc 16,7).
[2] Cfr Jorge Mario Bergoglio, Ejercicios Espirituales a los Obispos españoles, 2006.
[2] Cfr Jorge Mario Bergoglio, Ejercicios Espirituales a los Obispos españoles, 2006.
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