Ieri sera parlavo di nuovo con una comunità della lettera
che papa Francesco ha mandato a tutto il Popolo di Dio peregrinante in Cile,
lamentandomi che nessuno ancora l’abbia tradotta in italiano, perché quello che
il Papa propone alla Chiesa del Cile, è molto interessante, vale per tutta
la Chiesa universale.
Questa mattina sono accontentato. Ho ripreso, rivedendola, la traduzione di Settimana News diffusa dal “Sismografo” di Luis
Badilla (se posso, qualche giorno farò a Luis Badilla un monumento per il servizio che rende
alla Chiesa!) e invito tutti a leggere questa lettera di papa Francesco, con calma, e a meditarla.
Però questi pericoli estremi di autoreferenzialità laicale
o di “sette” guidate da qualche “carismatico” non esistono nelle nostre comunità!
Per le nostre comunità il pericolo è un altro: è quello della fede che rimane
infantile per pigrizia e paura di rischiare, di esporsi. L’obbedienza significa rimanere in
comunione, anche con grande sofferenza se occorre, ma non significa essere passivi.
Anni fa, in Sicilia è nata per volere del Signore una iniziativa a favore degli handicappati mentali che erano tanto, troppo ignorati e nascosti finora in quel paese. Ho messo questo nuovo gruppo in contato con Fede e Luce di Jean Vanier che aveva il loro stesso carisma. Così è nata la bellissima avventura dei “Piccoli di Gesù” che esistono ancora. All’inizio, nel fervore dei primi passi non hanno voluto aderire alle Comunità di Fede e Luce perché erano sicuri di fare un cammino proprio. Dopo pochi anni hanno avuto la saggezza di riconoscere i loro limiti e di appoggiarsi a Fede e Luce per continuare un cammino sicuro. Magari qualcuno tra loro, esaurito l'entusiasmo umano iniziale, dalla creatività dell’inizio è passato alla pigra passività aspettando il quaderno annuale di Fede e Luce per programmare gli incontri, accontentandosi di fare le fotocopie. Male minore se continuo a donarmi per la mia comunità.
Anni fa, in Sicilia è nata per volere del Signore una iniziativa a favore degli handicappati mentali che erano tanto, troppo ignorati e nascosti finora in quel paese. Ho messo questo nuovo gruppo in contato con Fede e Luce di Jean Vanier che aveva il loro stesso carisma. Così è nata la bellissima avventura dei “Piccoli di Gesù” che esistono ancora. All’inizio, nel fervore dei primi passi non hanno voluto aderire alle Comunità di Fede e Luce perché erano sicuri di fare un cammino proprio. Dopo pochi anni hanno avuto la saggezza di riconoscere i loro limiti e di appoggiarsi a Fede e Luce per continuare un cammino sicuro. Magari qualcuno tra loro, esaurito l'entusiasmo umano iniziale, dalla creatività dell’inizio è passato alla pigra passività aspettando il quaderno annuale di Fede e Luce per programmare gli incontri, accontentandosi di fare le fotocopie. Male minore se continuo a donarmi per la mia comunità.
Devo essere membro vivo nella mia comunità, vivere e
morire (nel servizio) per essa, sentirmene responsabile e, se il Signore mi
ispira, presentare anche le mie idee nuove…
Questo è il piano di Dio, fin dall’inizio del Cammino del
suo Popolo e in particolare fin dall’inizio della Chiesa. A questo ci invita il Papa. Leggiamo e meditiamo la sua lettera.
Al Popolo di Dio peregrinante
in Cile.
Cari fratelli e sorelle,
l’8 aprile scorso ho
convocato i miei fratelli vescovi a Roma per cercare insieme nel breve, medio e
lungo periodo cammini di verità e vita di fronte ad una ferita aperta,
dolorosa, complessa, che da molto tempo non cessa di sanguinare.[1] E ho
suggerito loro di invitare tutto il santo popolo fedele di Dio a mettersi in
atteggiamento di preghiera affinché lo Spirito Santo ci dia la forza di non
cadere nella tentazione di avvitarci in vuoti giochi di parole, diagnosi
sofisticate o in vani gesti che non ci darebbero la forza necessaria per
guardare in faccia la sofferenza causata, il volto delle vittime, l’enormità
dei fatti. Li ho invitati a guardare dove lo Spirito Santo ci
spinge poiché “chiudere gli occhi davanti al prossimo ci fa diventare ciechi
anche davanti a Dio”.[2]
Con gioia e speranza ho
ricevuto la notizia che sono state molte le comunità, le città e le cappelle in
cui il Popolo di Dio ha pregato, specialmente nei giorni in cui eravamo riuniti
con i vescovi: il Popolo di Dio in ginocchio che implora il dono dello Spirito
Santo per trovare luce nella Chiesa «ferita dal suo peccato e misericordiata
dal suo Signore, e perché ogni giorno diventi profetica per vocazione».[3]
Sappiamo che la preghiera non è mai in vano e che «nel pieno dell’oscurità
comincia sempre a germogliare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce
frutto».[4]
1. Fare appello a voi,
chiedervi di pregare non è stato un ricorso funzionale né un semplice gesto di
buona volontà. Al contrario, ho voluto mettere le cose nel loro posto giusto e
prezioso, e porre il problema là dove deve stare: la condizione del Popolo di
Dio è «la dignità e la libertà dei figli di Dio, nei cui cuori abita lo Spirito
Santo come in un tempio».[5] Il Santo Popolo fedele di Dio è unto con la grazia
dello Spirito Santo; perciò nell’ora di riflettere, pensare, valutare,
discernere, dobbiamo essere molto attenti a questa unzione. Ogni volta che,
come Chiesa, come pastori, come consacrati, abbiamo dimenticato questa certezza
abbiamo sbagliato strada. Ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare,
zittire, disprezzare, ignorare o ridurre a piccole élite il Popolo di Dio nella
sua totalità e nelle sue differenze, abbiamo costruito comunità, piani
pastorali, accentuazioni teologiche, spiritualità, strutture senza radici,
senza storia, senza volti, senza memoria, senza corpo, in una parola, senza
vita. Sradicarci dalla vita del Popolo di Dio ci fa piombare nella desolazione
e perversione della natura ecclesiale; la lotta contro una cultura dell’abuso
ha bisogno di rinnovare questa certezza.
Come ebbi a dire ai
giovani a Maipú, voglio ripeterlo in maniera speciale a ciascuno di voi: «la Santa
Madre Chiesa oggi ha bisogno del Popolo fedele di Dio, ha bisogno di
interpellarci […] Ha bisogno che voi mostriate la tessera di persone
maggiorenni, spiritualmente adulte, e abbiate il coraggio di dirci “questo mi
piace” “questo cammino mi sembra sia quello che dobbiamo percorrere”, “questo
non va”… Che ci diciate ciò che sentite e pensate».[6] Questo ha il potere di
coinvolgerci tutti in una Chiesa con stile sinodale che sa mettere Gesù al
centro.
Nel Popolo di Dio non
esistono cristiani di prima, seconda e terza categoria. La loro partecipazione
attiva non è questione di concessioni di buona volontà, ma è costitutiva della
natura ecclesiale. È impossibile immaginare il futuro senza questa unzione
operante in ciascuno di voi che certamente reclama e richiede rinnovate forme di partecipazione. Esorto tutti i
cristiani a non aver paura di essere i protagonisti della trasformazione che
oggi viene reclamata e a stimolare e promuovere alternative creative nella
ricerca quotidiana di una Chiesa che vuole ogni giorno mettere al centro ciò
che è importante. Invito tutti gli organismi diocesani – di qualsiasi area – a
cercare consapevolmente e lucidamente spazi di comunione e di partecipazione
affinché l’Unzione del Popolo di Dio trovi le sue mediazioni concrete per
manifestarsi.
Il rinnovamento nella
gerarchia ecclesiale non genera per se stesso la trasformazione a cui ci spinge
lo Spirito Santo. È necessario che promuoviamo insieme una trasformazione ecclesiale
che ci coinvolga tutti.
Una Chiesa profetica e,
pertanto, piena di speranza richiede da tutti una mistica dagli occhi aperti,
che interpella e non sia addormentata.[7] Non lasciatevi rubare l’unzione dello
Spirito.
2. «Il vento soffia dove vuole: ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). Così rispose Gesù a Nicodemo nel dialogo sulla possibilità di nascere di nuovo per entrare nel Regno dei cieli.
2. «Il vento soffia dove vuole: ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). Così rispose Gesù a Nicodemo nel dialogo sulla possibilità di nascere di nuovo per entrare nel Regno dei cieli.
Attualmente, alla luce
di questo brano, ci fa bene tornare a esaminare la nostra storia personale e
comunitaria: lo Spirito Santo soffia dove vuole e come vuole con l’unico scopo
di aiutarci a nascere di nuovo. Lungi dal lasciarsi rinchiudere in schemi,
modalità e strutture fisse e caduche, lungi dal rassegnarsi o “abbassare la
guardia” di fronte agli avvenimenti, lo Spirito è sempre in movimento per
allargare lo sguardo ristretto, far sognare chi ha perso la speranza,[8] fare
giustizia nella verità e nella carità, purificare dal peccato e dalla
corruzione e invitare sempre alla necessaria conversione. Senza questo sguardo
di fede tutto ciò che possiamo dire e fare cadrebbe nel vuoto. Questa certezza
è indispensabile per guardare il presente senza evasioni ma con audacia, con
coraggio ma con saggezza, con tenacia ma senza violenza, con passione ma senza
fanatismo, con costanza ma senza ansia, e così cambiare tutto ciò che oggi
minaccia l’integrità e la dignità di ciascuna persona; dato che le soluzioni di
cui c’è bisogno esigono di guardare i problemi senza rimanerne prigionieri o,
peggio ancora, ripetere i medesimi meccanismi che vogliamo eliminare.[9] Oggi
siamo sfidati a guardare avanti, ad assumere e vivere la sofferenza del
conflitto e così poterlo risolvere e trasformare in un anello di congiunzione
di un nuovo cammino.[10]
3. Anzitutto sarebbe
ingiusto attribuire questo processo solo agli ultimi avvenimenti vissuti. Tutto
il processo di revisione e di purificazione che stiamo vivendo è possibile
grazie agli sforzi e alla perseveranza di persone concrete che, contro ogni
speranza o discredito non si sono stancati di cercare la verità; mi riferisco
alle vittime degli abusi sessuali, del potere, dell’autorità e di coloro che,
allora, li hanno creduto e accompagnati. Vittime il cui grido è giunto fino al
cielo.[11] Vorrei ancora una volta ringraziare pubblicamente il coraggio e la
perseveranza di tutti loro.
Questo ultimo tempo è
tempo di ascolto e di discernimento per giungere alle radici che hanno permesso
che tali atrocità avvenissero e si perpetuassero, e così trovare soluzioni allo
scandalo degli abusi, non con strategie puramente di contenimento – imprescindibili
ma insufficienti – ma con tutte le misure necessarie per poter assumere il
problema nella sua complessità.
In questo senso, vorrei
soffermarmi sulla parola “ascolto”, dal momento che discernere comporta
imparare ad ascoltare ciò che lo Spirito vuole dirci. E potremo farlo solo se
saremo capaci di ascoltare la realtà di ciò che avviene.[12]
Credo che qui si trovi
una delle nostre principali mancanze e omissione: non saper ascoltare le
vittime. Così sono state costruite delle conclusioni parziali a cui mancavano
elementi cruciali per un sano e chiaro discernimento. Con vergogna devo dire
che non abbiamo saputo ascoltare e reagire a tempo.
La visita di mons.
Scicluna e di mons. Bertomeu è nata dalla costatazione che esistevano
situazioni che non sapevamo vedere e ascoltare. Come Chiesa non potevamo
continuare ad andare avanti ignorando la sofferenza dei nostri fratelli. Dopo
aver letto il rapporto, ho voluto incontrare personalmente alcune vittime di abuso
sessuale, di potere e di coscienza, per ascoltarle e chiedere loro perdono per
i nostri peccati e le nostre omissioni.
4. In questi incontri ho
costatato come la mancanza di riconoscimento/ascolto della loro storia, come
pure del riconoscimento/accettazione degli errori e delle omissioni in tutto il
processo, ci impedisce di andare avanti. Un riconoscimento che vuole essere più
che un’espressione di buona volontà verso le vittime, ma vuole piuttosto essere
un nuovo modo di porci davanti alla vita, davanti agli altri e davanti a Dio.
La speranza nel domani e la fiducia nella Provvidenza nasce e cresce
nell’assumere la fragilità, i limiti e anche il peccato per aiutarci ad andare
avanti.[13] Il “mai più” alla cultura dell’abuso come anche al sistema
dell’occultamento che gli permette di perpetuarsi, richiede di lavorare tutti
insieme per generare una cultura della cura che impregni le nostre forme di
relazionarci, di pregare, di pensare, di vivere l’autorità; le nostre usanze e
i nostri linguaggi, il nostro rapporto col potere e il denaro. Oggi sappiamo
che la parola migliore che possiamo offrire di fronte alla dolore provocato è
l’impegno per la conversione personale, comunitaria e sociale che impari ad
ascoltare e a prendersi cura particolarmente dei più vulnerabili. È urgente,
quindi, generare spazi in cui la cultura dell’abuso e dell’occultamento non sia
lo schema dominante; in cui non si confonda un atteggiamento critico e
interpellante con il tradimento. Ciò deve spronarci come Chiesa a cercare
umilmente tutti gli attori che configurano la realtà sociale e a promuovere
istanze di dialogo e di confronto costruttivo per camminare verso una cultura
della cura e della protezione.
Pretendere di compiere
questa impresa solo partendo da noi o con le nostre forze e strumenti ci
chiuderebbe in pericolose dinamiche volontariste che verrebbero meno a corto
termine.[14] Lasciamoci aiutare e aiutiamo a generare una società in cui la cultura
dell’abuso non trovi spazio per perpetuarsi. Esorto tutti i cristiani e
specialmente i responsabili di Centri di formazione educativa di terzo grado,
di educazione formale e non formale, Centri sanitari, Istituti di formazione e Università,
a mettere in comune gli sforzi nelle diocesi e con la società civile per
promuovere in maniera chiara e strategica una cultura della cura e della
protezione. Che ognuno di questi spazi promuova una nuova mentalità.
5. La cultura dell’abuso
e dell’occultamento è incompatibile con la logica del Vangelo dal momento che
la salvezza offerta da Cristo è sempre un’offerta, un dono che richiede ed
esige la libertà. È lavando i piedi ai discepoli che Gesù ci mostrato il volto
di Dio. Non è per costrizione né per obbligo ma per servizio. Diciamolo chiaro,
tutti i mezzi che attentano alla libertà e all’integrità delle persone sono
anti-evangelici; perciò bisogna anche generare processi di fede in cui si
impari a riconoscere quando è necessario dubitare e quando no. «La dottrina, o
meglio, la nostra comprensione ed espressione di essa, “non è un sistema
chiuso, privo di dinamiche capaci di suscitare domande, dubbi, interrogativi”,
poiché le domande del nostro popolo, le sue angustie, le sue idee, i suoi
sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico
che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio
dell’incarnazione».[15] Invito tutti i Centri di formazione religiosa, le
facoltà teologiche, gli istituti di terzo grado, i seminari, le case di formazione
e di spiritualità a promuovere una riflessione teologica che sia capace di
essere all’altezza del tempo presente, a promuovere una fede matura, adulta e
che assuma l’humus vitale del Popolo di Dio con le sue ricerche e i suoi
interrogativi. E così, allora, promuovere comunità capaci di lottare contro
situazioni abusive, comunità in cui lo scambio, la discussione, il confronto
siano benvenuti.[16] Saremo fecondi nella misura in cui svilupperemo comunità
internamente aperte liberandoci così da pensieri chiusi e autoreferenziali
pieni di promesse e di miraggi che promettono vita ma che, in definitiva,
favoriscono la cultura dell’abuso.
Vorrei fare un breve
riferimento alla pastorale popolare vissuta in molte delle vostre comunità
poiché è un tesoro inestimabile e un’autentica scuola in cui imparare ad
ascoltare il cuore del nostro popolo e, nello stesso tempo, il cuore di Dio. Nella
mia esperienza di pastore ho imparato a scoprire che la pastorale popolare è
uno dei pochi spazi in cui il Popolo di Dio è sovrano rispetto all’influenza di
quel clericalismo che cerca sempre di controllare e frenare l’unzione di Dio
sul suo popolo. Imparare dalla pietà popolare è imparare a stabilire un nuovo
tipo di rapporto, di ascolto e di spiritualità che esige molto rispetto e non
si presta a letture affrettate e sempliciste, poiché la pietà popolare
«riflette una sete di Dio che solo i poveri e i semplici possono
conoscere».[17]
Essere “Chiesa in
uscita” vuol dire anche lasciarsi aiutare e interpellare. Non dimentichiamo che
“il vento soffia dove vuole: ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove
va. Così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8).
6. Come vi dicevo, negli
incontri con le vittime ho potuto costatare che la mancanza di riconoscimento
ci impedisce di camminare. Perciò credo necessario condividere con voi che mi
ha molto rallegrato e riempito di speranza confermare, nel dialogo con loro, il
riconoscimento di persone che mi piace chiamare i “santi della porta
accanto”.[18] Saremmo ingiusti se, accanto al nostro dolore e vergogna per
queste strutture di abuso e di occultamento che tanto si sono perpetuate e
tanto male hanno fatto, non dessimo riconoscimento ai molti fedeli, laici,
consacrati e consacrate, sacerdoti e vescovi che danno la vita per amore nelle
zone più remote della cara terra cilena. Tutti loro sono cristiani che sanno
piangere con gli altri, che cercano la giustizia con fame e sete, che guardano
e agiscono con misericordia;[19] cristiani che cercano ogni giorno di
illuminare la loro vita alla luce del protocollo su cui saremo giudicati:
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per
voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete
accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e
siete venuti a trovarmi” (Mt 25,34-36).
Riconosco e ringrazio
per il loro coraggioso e costante esempio perché in momenti di turbolenza,
vergogna e sofferenza continuano a mettersi in gioco con gioia per il Vangelo.
Questa testimonianza mi fa molto bene e mi sostiene nel mio stesso desiderio di
vincere l’egoismo per donarmi ancora di più.[20] Lungi dal togliere importanza
e serietà al male provocato e al cercare le radici dei problemi, ci impegna
anche a riconoscere la forza che agisce e opera mediante lo Spirito in tante
vite. Senza questo sguardo, rimarremmo a metà strada e potremmo entrare in una
logica che, lungi dal cercare di rafforzare il bene e di porre rimedio
all’errore, rendere monca la realtà cadendo in una grave ingiustizia.
Accettare i successi,
come anche i limiti personali e comunitari, lungi dall’essere una notizia
ulteriore, diventa il punto di partenza di ogni autentico processo di
conversione e di trasformazione. Non dimentichiamo mai che Gesù Cristo risorto
si presenta ai suoi con le sue piaghe. Ben più, è proprio a partire dalle sue
piaghe che Tommaso può confessare la fede. Siamo invitati a non dissimulare,
nascondere o coprire le nostre piaghe.
Una Chiesa piagata è capace
di comprendere e commuoversi per le piaghe del mondo d’oggi, farle sue,
soffrirle, accompagnarle e muoversi per cercare di risanarle. Una Chiesa
piagata non si mette al centro, non si crede perfetta, non cerca di coprire o
dissimulare il suo male, ma mette lì l’unico che può guarire le ferite e ha un
nome: Gesù Cristo.[21]
Questa certezza è quella
che ci muoverà a impegnarci, a tempo opportuno e importuno, a generare una
cultura in cui ogni persona abbia diritto a respirare un’aria libera da ogni
genere di abusi. Una cultura libera da occultamenti che finiscono col viziare
tutte le nostre relazioni. Una cultura che, di fronte al peccato, genera una
dinamica di pentimento, misericordia e perdono, e di fronte al crimine la
denuncia, il giudizio e la sanzione.
7. Cari fratelli, ho
cominciato questa lettera dicendovi che appellarmi a voi non è un mezzo
funzionale o un gesto di buona volontà, al contrario, è invocare l’unzione che,
come Popolo di Dio, possedete. Con voi si potranno fare i passi necessari per
un rinnovamento e una conversione ecclesiale che sia sana e a lungo termine.
Con voi si potrà generare la trasformazione necessaria di cui tanto c’è
bisogno. Senza di voi non si può fare nulla. Esorto tutto il Santo Popolo
fedele di Dio che vive in Cile a non aver paura di coinvolgersi e di camminare
spinto dallo Spirito nella ricerca di una Chiesa ogni giorno più sinodale,
profetica e piena di speranza; meno abusiva perché sa mettere Gesù al centro,
nell’affamato, nel carcerato, nel migrante, nell’abusato.
Vi chiedo di non cessare
di pregare per me. Io lo faccio per voi e chiedo a Gesù che vi benedica e alla
Vergine Santa che vi custodisca.
Vaticano, 31 maggio
2018, Festa della Visitazione di Nostra Signora
***
[1] Cf. Lettera del Santo
Padre Francesco ai signori Vescovi del Cile dopo la relazione di S. E. mons.
Charles J. Scicluna, 8 aprile 2018.
[2] BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 16.
[3] Cf. Incontro del Santo Padre Francesco con i sacerdoti, religiosi/e, consacrati/e e seminaristi, Cattedrale di Santiago del Cile, 16 gennaio 2018.
[4] FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 278.
[5] Cf. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 9.
[6] Cf. Incontro del Santo Padre Francesco con i giovani, Santuario Nazionale di Maipú, 17 gennaio 2018.
[7] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate, 96.
[8] Cf. FRANCESCO, Omelia santa messa nella solennità della Pentecoste 2018.
[9] È opportuno riconoscere a alcune organizzazioni e mezzi di comunicazione che hanno assunto il tema degli abusi in maniera responsabile, cercando sempre la verità e non facendo di questa dolorosa realtà una risorsa mediatica per l’aumento dell’audience nella loro programmazione.
[10] Cf.. FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 227.
[11] Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze” (Es 3,7).
[12] Ricordiamo che questa fu la prima parola-mandato che il popolo d’Israele ricevette da parte di Jahvé (Dt 6,4).
[13] Cfr. Visita del Santo Padre Francesco al Centro penitenziario femminile, Santiago del Cile, 16 gennaio 2008.
[14] Cfr. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate, 47-59.
[15] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate” 44.
[16] È imprescindibile portare a termine il tanto necessario rinnovamento nei centri di formazione promosso dalla recente Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium. Per fare un esempio, sottolineo che «in effetti, il compito urgente del nostro tempo consiste nel fatto che tutto il Popolo di Dio si prepari a intraprendere “con spirito” una nuova tappa de la evangelizzazione». Ciò richiede «un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma». E, all’interno di questo processo, il rinnovamento adeguato del sistema degli studi ecclesiastici è chiamato a svolgere un ruolo strategico. In realtà, questi studi non devono solo offrire luoghi e itinerari per la formazione qualificata dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei laici impegnati, ma costituiscono una sorta di laboratorio culturale provvidenziale, in cui la Chiesa si esercita nell’interpretare la performance della realtà che scaturisce dall’evento Gesù Cristo e si alimenta dei doni di Sapienza e Scienza con cui lo Spirito Santo arricchisce in vari modi tutto il popolo di Dio: dal sensus fidei fidelium fino al magistero dei Pastori, dal carisma dei profeti a quello dei dottori e dei teologi». (Veritatis Gaudium, 3).
[17] Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 48.
[18] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate,6-9.
[19] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate, 76.79.82
[20] Cf. FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 76
[21] Cf. Incontro del Santo Padre Francesco coi sacerdoti, religiosi/e, consacrati/e e seminaristi, cattedrale di Santiago del Cile, 16 gennaio 2018.
[2] BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 16.
[3] Cf. Incontro del Santo Padre Francesco con i sacerdoti, religiosi/e, consacrati/e e seminaristi, Cattedrale di Santiago del Cile, 16 gennaio 2018.
[4] FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 278.
[5] Cf. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 9.
[6] Cf. Incontro del Santo Padre Francesco con i giovani, Santuario Nazionale di Maipú, 17 gennaio 2018.
[7] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate, 96.
[8] Cf. FRANCESCO, Omelia santa messa nella solennità della Pentecoste 2018.
[9] È opportuno riconoscere a alcune organizzazioni e mezzi di comunicazione che hanno assunto il tema degli abusi in maniera responsabile, cercando sempre la verità e non facendo di questa dolorosa realtà una risorsa mediatica per l’aumento dell’audience nella loro programmazione.
[10] Cf.. FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 227.
[11] Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze” (Es 3,7).
[12] Ricordiamo che questa fu la prima parola-mandato che il popolo d’Israele ricevette da parte di Jahvé (Dt 6,4).
[13] Cfr. Visita del Santo Padre Francesco al Centro penitenziario femminile, Santiago del Cile, 16 gennaio 2008.
[14] Cfr. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate, 47-59.
[15] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate” 44.
[16] È imprescindibile portare a termine il tanto necessario rinnovamento nei centri di formazione promosso dalla recente Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium. Per fare un esempio, sottolineo che «in effetti, il compito urgente del nostro tempo consiste nel fatto che tutto il Popolo di Dio si prepari a intraprendere “con spirito” una nuova tappa de la evangelizzazione». Ciò richiede «un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma». E, all’interno di questo processo, il rinnovamento adeguato del sistema degli studi ecclesiastici è chiamato a svolgere un ruolo strategico. In realtà, questi studi non devono solo offrire luoghi e itinerari per la formazione qualificata dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei laici impegnati, ma costituiscono una sorta di laboratorio culturale provvidenziale, in cui la Chiesa si esercita nell’interpretare la performance della realtà che scaturisce dall’evento Gesù Cristo e si alimenta dei doni di Sapienza e Scienza con cui lo Spirito Santo arricchisce in vari modi tutto il popolo di Dio: dal sensus fidei fidelium fino al magistero dei Pastori, dal carisma dei profeti a quello dei dottori e dei teologi». (Veritatis Gaudium, 3).
[17] Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 48.
[18] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate,6-9.
[19] Cf. FRANCESCO, Gaudete et Exsultate, 76.79.82
[20] Cf. FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 76
[21] Cf. Incontro del Santo Padre Francesco coi sacerdoti, religiosi/e, consacrati/e e seminaristi, cattedrale di Santiago del Cile, 16 gennaio 2018.
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