54. Se è vero che l’ars celebrandi riguarda tutta l’assemblea che celebra, è altrettanto vero che i ministri ordinati devono avere per essa una particolare cura. Nel visitare le comunità cristiane ho spesso notato che il loro modo di vivere la celebrazione è condizionato – nel bene e, purtroppo, anche nel male – da come il loro parroco presiede l’assemblea. Potremmo dire che vi sono diversi “modelli” di presidenza. Ecco un possibile elenco di atteggiamenti che, pur essendo tra loro opposti, caratterizzano la presidenza in modo certamente inadeguato: rigidità austera o creatività esasperata; misticismo spiritualizzante o funzionalismo pratico; sbrigatività frettolosa o lentezza enfatizzata; sciatta trascuratezza o eccessiva ricercatezza; sovrabbondante affabilità o impassibilità ieratica. Pur nell’ampiezza di questa gamma, penso che l’inadeguatezza di questi modelli abbia una comune radice: un esasperato personalismo dello stile celebrativo che, a volte, esprime una mal celata mania di protagonismo. Spesso ciò acquista maggior evidenza quando le nostre celebrazioni vengono trasmesse in rete, cosa non sempre opportuna e sulla quale dovremmo riflettere. Intendiamoci, non sono questi gli atteggiamenti più diffusi, ma non di rado le assemblee subiscono questi “maltrattamenti”.
55. Molto si potrebbe dire sull’importanza e sulla delicatezza
del presiedere. In più occasioni mi sono soffermato sul compito impegnativo del
tenere l’omelia. [17] Mi
limito ora ad alcune considerazioni più ampie, sempre volendo riflettere con
voi su come veniamo formati dalla Liturgia. Penso alla normalità delle Messe
domenicali nelle nostre comunità: mi riferisco, quindi, ai presbiteri ma
implicitamente a tutti i ministri ordinati.
56. Il presbitero vive la sua tipica partecipazione alla
celebrazione in forza del dono ricevuto nel sacramento dell’Ordine: tale
tipicità si esprime proprio nella presidenza. Come tutti gli uffici che è
chiamato a svolgere, non si tratta primariamente di un compito assegnato dalla
comunità, quanto, piuttosto, della conseguenza dell’effusione dello Spirito
Santo ricevuta nell’ordinazione che lo abilita a tale compito. Anche il presbitero
viene formato dal suo presiedere l’assemblea che celebra.
57. Perché questo servizio venga fatto bene – con arte, appunto – è di fondamentale importanza che il presbitero abbia anzitutto una viva coscienza di essere, per misericordia, una particolare presenza del Risorto. Il ministro ordinato è egli stesso una delle modalità di presenza del Signore che rendono l’assemblea cristiana unica, diversa da ogni altra (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 7). Questo fatto dà spessore “sacramentale” – in senso ampio – a tutti i gesti e le parole di chi presiede. L’assemblea ha diritto di poter sentire in quei gesti e in quelle parole il desiderio che il Signore ha, oggi come nell’ultima Cena, di continuare a mangiare la Pasqua con noi. Il Risorto è, dunque, il protagonista, non lo sono di sicuro le nostre immaturità che cercano, assumendo un ruolo e un atteggiamento, una presentabilità che non possono avere. Il presbitero stesso è sopraffatto da questo desiderio di comunione che il Signore ha verso ciascuno: è come se fosse posto in mezzo tra il cuore ardente d’amore di Gesù e il cuore di ogni fedele, l’oggetto del suo amore. Presiedere l’Eucaristia è stare immersi nella fornace dell’amore di Dio. Quando ci viene dato di comprendere, o anche solo di intuire, questa realtà, non abbiamo di certo più bisogno di un direttorio che ci imponga un comportamento adeguato. Se di questo abbiamo bisogno è per la durezza del nostro cuore. La norma più alta, e, quindi, più impegnativa, è la realtà stessa della celebrazione eucaristica che seleziona parole, gesti, sentimenti, facendoci comprendere se sono o meno adeguati al compito che devono svolgere. È evidente che anche questo non si improvvisa: è un’arte, chiede al presbitero applicazione, vale a dire una frequentazione assidua del fuoco di amore che il Signore è venuto a portare sulla terra (cfr. Lc 12,49).
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