Formati alla Liturgia, formati dalla Liturgia.
38. Per i ministri e per tutti i battezzati, la formazione
liturgica in questo suo primo significato, non è qualcosa che si possa pensare
di conquistare una volta per sempre: poiché il dono del mistero celebrato
supera la nostra capacità di conoscenza, questo impegno dovrà per certo
accompagnare la formazione permanente di ciascuno, con l’umiltà dei piccoli,
atteggiamento che apre allo stupore.
39. Un’ultima osservazione sui seminari: oltre
allo studio devono anche offrire la possibilità di sperimentare una
celebrazione non solo esemplare dal punto di vista rituale, ma autentica,
vitale, che permetta di vivere quella vera comunione con Dio alla quale anche
il sapere teologico deve tendere. Solo l’azione dello Spirito può perfezionare
la nostra conoscenza del mistero di Dio, che non è questione di comprensione
mentale ma di relazione che tocca la vita. Tale esperienza è fondamentale
perché una volta divenuti ministri ordinati, possano accompagnare le comunità
nello stesso percorso di conoscenza del mistero di Dio, che è mistero d’amore.
40. Quest’ultima considerazione ci porta a
riflettere sul secondo significato con il quale possiamo intendere
l’espressione “formazione liturgica”. Mi riferisco all’essere formati, ciascuno
secondo la sua vocazione, dalla partecipazione alla celebrazione liturgica.
Anche la conoscenza di studio di cui ho appena detto, perché non diventi
razionalismo, deve essere funzionale al realizzarsi dell’azione formatrice
della Liturgia in ogni credente in Cristo.
41. Da quanto abbiamo detto sulla natura della
Liturgia risulta evidente che la conoscenza del mistero di Cristo, questione
decisiva per la nostra vita, non consiste in una assimilazione mentale di una
idea, ma in un reale coinvolgimento esistenziale con la sua persona. In tal
senso la Liturgia non riguarda la “conoscenza” e il suo scopo non è
primariamente pedagogico (pur avendo un grande valore pedagogico: cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 33) ma è la
lode, il rendimento di grazie per la Pasqua del Figlio la cui forza di salvezza
raggiunge la nostra vita. La celebrazione riguarda la realtà del nostro essere
docili all’azione dello Spirito che in essa opera, finché non sia formato
Cristo in noi (cfr. Gal 4,19). La pienezza della nostra formazione è la
conformazione a Cristo. Ripeto: non si tratta di un processo mentale, astratto,
ma di diventare Lui. Questo è lo scopo per il quale è stato donato lo Spirito
la cui azione è sempre e solo quella di fare il Corpo di Cristo. È così con il
pane eucaristico, è così per ogni battezzato chiamato a diventare sempre più
ciò che ha ricevuto in dono nel battesimo, vale a dire l’essere membro del
Corpo di Cristo. Scrive Leone Magno: «La nostra partecipazione al Corpo e al
Sangue di Cristo non tende ad altro che a farci diventare quello che
mangiamo». [11]
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