42. Questo coinvolgimento esistenziale accade –
in continuità e coerenza con il metodo dell’incarnazione – per via
sacramentale. La Liturgia è fatta di cose che sono esattamente l’opposto di
astrazioni spirituali: pane, vino, olio, acqua, profumo, fuoco, cenere, pietra,
stoffa, colori, corpo, parole, suoni, silenzi, gesti, spazio, movimento,
azione, ordine, tempo, luce. Tutta la creazione è manifestazione dell’amore di
Dio: da quando lo stesso amore si è manifestato in pienezza nella croce di Gesù
tutta la creazione ne è attratta. È tutto il creato che viene assunto per
essere messo a servizio dell’incontro con il Verbo incarnato, crocifisso,
morto, risorto, asceso al Padre. Così come canta la preghiera sull’acqua per il
fonte battesimale, ma anche quella sull’olio per il sacro crisma e le parole
della presentazione del pane e del vino, frutti della terra e del lavoro
dell’uomo.
43. La liturgia dà gloria a Dio non perché noi
possiamo aggiungere qualcosa alla bellezza della luce inaccessibile nella quale
Egli abita (cfr. 1Tm 6,16) o alla perfezione del canto angelico che risuona
eternamente nelle sedi celesti. La Liturgia dà gloria a Dio perché ci permette,
qui, sulla terra, di vedere Dio nella celebrazione dei misteri e, nel vederlo,
prendere vita dalla sua Pasqua: noi, che da morti che eravamo per le colpe, per
grazia, siamo stati fatti rivivere con Cristo (cfr. Ef 2,5), siamo la gloria di
Dio. Ireneo, doctor unitatis, ce lo ricorda:
«La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione
di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione dà la vita a tutti
gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre
attraverso il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio!». [12]
44. Scrive Guardini: «Con ciò si delinea il primo compito del lavoro di formazione liturgica: l’uomo deve diventare nuovamente capace di simboli». [13] Questo impegno riguarda tutti, ministri ordinati e fedeli. Il compito non è facile perché l’uomo moderno è diventato analfabeta, non sa più leggere i simboli, quasi non ne sospetta nemmeno l’esistenza. Ciò accade anche con il simbolo del nostro corpo. È simbolo perché intima unione di anima e corpo, visibilità dell’anima spirituale nell’ordine del corporeo e in questo consiste l’unicità umana, la specificità della persona irriducibile a qualsiasi altra forma di essere vivente. La nostra apertura al trascendente, a Dio, è costitutiva: non riconoscerla ci porta inevitabilmente ad una non conoscenza oltre che di Dio, anche di noi stessi. Basta vedere il modo paradossale con il quale viene trattato il corpo, ora curato in modo quasi ossessivo inseguendo il mito di una eterna giovinezza, ora ridotto ad una materialità alla quale è negata ogni dignità. Il fatto è che non si può dare valore al corpo partendo solo dal corpo. Ogni simbolo è nello stesso tempo potente e fragile: se non viene rispettato, se non viene trattato per quello che è, si infrange, perde di forza, diventa insignificante.
Non abbiamo più lo sguardo di san Francesco che guardava il sole –
che chiamava fratello perché così lo sentiva – lo vedeva bellu e
radiante cum grande splendore, e, pieno di stupore, cantava: de te
Altissimu, porta significatione. [14] L’aver
perso la capacità di comprendere il valore simbolico del corpo e di ogni
creatura rende il linguaggio simbolico della Liturgia quasi inaccessibile
all’uomo moderno. Non si tratta, tuttavia, di rinunciare a tale linguaggio: non
è possibile rinunciarvi perché è ciò che la Santissima Trinità ha scelto per
raggiungerci nella carne del Verbo. Si tratta, piuttosto, di recuperare la
capacità di porre e di comprendere i simboli della Liturgia. Non dobbiamo
disperare, perché nell’uomo questa dimensione, come ho appena detto, è
costitutiva e, nonostante i mali del materialismo e dello spiritualismo –
entrambi negazione dell’unità corpo e anima – è sempre pronta a riemergere,
come ogni verità.
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