Ars celebrandi
48. Un modo per custodire e per crescere nella
comprensione vitale dei simboli della Liturgia è certamente quello di curare
l’arte del celebrare. Anche questa espressione è oggetto di diverse
interpretazioni. Essa si chiarisce se viene compresa avendo come riferimento il
senso teologico della Liturgia descritto in Sacrosanctum Concilium al
n. 7 e che abbiamo più volte richiamato. L’ars celebrandi non
può essere ridotta alla sola osservanza di un apparato rubricale e non può
nemmeno essere pensata come una fantasiosa – a volte selvaggia – creatività
senza regole. Il rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se
stessa, ma sempre a servizio della realtà più alta che vuole custodire.
49. Come ogni arte, richiede diverse conoscenze.
Anzitutto la comprensione del dinamismo che descrive la Liturgia.
Il momento dell’azione celebrativa è il luogo nel quale attraverso il memoriale
si fa presente il mistero pasquale perché i battezzati, in forza della loro
partecipazione, possano farne esperienza nella loro vita: senza questa
comprensione facilmente si cade nell’esteriorismo (più o meno raffinato) e nel
rubricismo (più o meno rigido).
Occorre, poi, conoscere come lo Spirito Santo agisce in ogni
celebrazione: l’arte del celebrare deve essere in sintonia con l’azione dello
Spirito. Solo così sarà libera da soggettivismi, che sono il frutto del prevalere
di sensibilità individuali, e da culturalismi, che sono acquisizioni acritiche
di elementi culturali che non hanno nulla a che vedere da un corretto processo
di inculturazione.
È necessario, infine, conoscere le dinamiche del linguaggio
simbolico, la sua peculiarità, la sua efficacia.
50. Da questi brevi cenni, risulta evidente che
l’arte del celebrare non si può improvvisare. Come ogni arte richiede
applicazione assidua. Ad un artigiano basta la tecnica; ad un artista, oltre
alle conoscenze tecniche, non può mancare l’ispirazione che è una forma
positiva di possessione: l’artista, quello vero, non possiede un’arte ne è
posseduto. Non si impara l’arte del celebrare perché si frequenta un corso
di public speaking o di tecniche di comunicazione persuasiva
(non giudico le intenzioni, vedo gli effetti). Ogni strumento può essere utile
ma deve sempre essere sottomesso alla natura della Liturgia e all’azione dello
Spirito. Occorre una diligente dedizione alla celebrazione lasciando che sia la
celebrazione stessa a trasmetterci la sua arte. Scrive Guardini: «Dobbiamo
renderci conto di quanto profondamente siamo ancora radicati
nell’individualismo e nel soggettivismo, di quanto siamo disabituati al
richiamo delle grandezze e di quanto sia piccola la misura della nostra vita
religiosa. Deve risvegliarsi il senso dello stile grande della preghiera, la
volontà di coinvolgere anche in essa la nostra esistenza. Ma la via verso
queste mète è la disciplina, la rinuncia ad una sentimentalità morbida; un
serio lavoro, svolto in obbedienza alla Chiesa, in rapporto al nostro essere e
al nostro comportamento religioso». [15] È
così che si impara l’arte del celebrare.
Nessun commento:
Posta un commento