31. Non posso in questa lettera intrattenermi sulla ricchezza
delle singole espressioni che lascio alla vostra meditazione. Se la Liturgia è
“il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte
da cui promana tutta la sua energia” (Sacrosanctum Concilium, n. 10),
comprendiamo bene che cosa è in gioco nella questione liturgica. Sarebbe banale
leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una
semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale.
La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di
riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che un
cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma liturgica
nata dalla Sacrosanctum Concilium che esprime la
realtà della Liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa
mirabilmente descritta dalla Lumen
gentium. Per questo – come ho spiegato nella lettera inviata a tutti i
Vescovi – ho sentito il dovere di affermare che “i libri liturgici promulgati
dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni
Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio
Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del
Rito Romano” (Motu Proprio Traditionis custodes, art. 1).
La non accoglienza della riforma, come pure una sua superficiale
comprensione, ci distoglie dall’impegno di trovare le risposte alla domanda che
torno a ripetere: come crescere nella capacità di vivere in pienezza l’azione
liturgica? Come continuare a stupirci di ciò che nella celebrazione accade
sotto i nostri occhi? Abbiamo bisogno di una seria e vitale formazione
liturgica.
32. Torniamo ancora nel Cenacolo a Gerusalemme: il mattino di
Pentecoste nasce la Chiesa, cellula iniziale dell’umanità nuova. Solo la
comunità di uomini e donne riconciliati perché perdonati, vivi perché Lui è
vivo, veri perché abitati dallo Spirito di verità, può aprire lo spazio angusto
dell’individualismo spirituale.
33. È la comunità della Pentecoste che può
spezzare il Pane nella certezza che il Signore è vivo, risorto dai morti,
presente con la sua parola, con i suoi gesti, con l’offerta del suo Corpo e del
suo Sangue. Da quel momento la celebrazione diventa il luogo privilegiato, non
l’unico, dell’incontro con Lui. Noi sappiamo che solo grazie a questo incontro
l’uomo diventa pienamente uomo. Solo la Chiesa della Pentecoste può concepire
l’uomo come persona, aperto ad una relazione piena con Dio, con il creato e con
i fratelli.
34. Qui si pone la questione decisiva della formazione
liturgica. Dice Guardini: «Così è delineato anche il primo compito pratico:
sostenuti da questa trasformazione interiore del nostro tempo, dobbiamo
nuovamente imparare a porci di fronte al rapporto religioso come uomini in
senso pieno». [8] È
questo che la Liturgia rende possibile, a questo dobbiamo formarci. Lo stesso
Guardini non esita ad affermare che senza formazione liturgica, “le riforme nel
rito e nel testo non aiutano molto”. [9] Non
intendo ora trattare in modo esaustivo il ricchissimo tema della formazione
liturgica: vorrei solo offrire alcuni spunti di riflessione. Penso che possiamo
distinguere due aspetti: la formazione alla Liturgia e la formazione dalla
Liturgia. Il primo è funzionale al secondo che è essenziale.
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