19. Se lo gnosticismo ci intossica con il veleno del
soggettivismo, la celebrazione liturgica ci libera dalla prigione di una
autoreferenzialità nutrita dalla propria ragione o dal proprio sentire:
l’azione celebrativa non appartiene al singolo ma a Cristo-Chiesa, alla
totalità dei fedeli uniti in Cristo. La Liturgia non dice “io” ma “noi” e ogni
limitazione all’ampiezza di questo “noi” è sempre demoniaca. La Liturgia non ci
lascia soli nel cercare una individuale presunta conoscenza del mistero di Dio,
ma ci prende per mano, insieme, come assemblea, per condurci dentro il mistero
che la Parola e i segni sacramentali ci rivelano. E lo fa, coerentemente con
l’agire di Dio, seguendo la via dell’incarnazione, attraverso il linguaggio
simbolico del corpo che si estende nelle cose, nello spazio e nel tempo.
20. Se il neo-pelagianesimo ci intossica con la presunzione di
una salvezza guadagnata con le nostre forze, la celebrazione liturgica ci
purifica proclamando la gratuità del dono della salvezza accolta nella fede.
Partecipare al sacrificio eucaristico non è una nostra conquista come se di
questo potessimo vantarci davanti a Dio e ai fratelli. L’inizio di ogni
celebrazione mi ricorda chi sono chiedendomi di confessare il mio peccato e
invitandomi a supplicare la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e
tutti i fratelli e le sorelle, di pregare per me il Signore: non siamo certo
degni di entrare nella sua casa, abbiamo bisogno di una sua parola per essere
salvati (cfr. Mt 8,8). Non abbiamo altro vanto che nella croce del Signore
nostro Gesù Cristo (cfr. Gal 6,14). La Liturgia non ha nulla a che vedere con
un moralismo ascetico: è il dono della Pasqua del Signore che, accolto con
docilità, fa nuova la nostra vita. Non si entra nel Cenacolo se non che per la
forza di attrazione del suo desiderio di mangiare la Pasqua con noi: Desiderio
desideravi hoc Pascha manducare vobiscum, antequam patiar (Lc 22,15).
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