58. Quando la prima comunità spezza il pane in obbedienza al
comando del Signore, lo fa sotto sguardo di Maria che accompagna i primi passi
della Chiesa: “erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune
donne e a Maria, la madre di Gesù” (At 1,14). La Vergine Madre “sorveglia” i
gesti del suo Figlio affidati agli Apostoli. Come ha custodito nel suo grembo,
dopo aver accolto le parole dell’angelo Gabriele, il Verbo fatto carne, la
Vergine custodisce ancora una volta nel grembo della Chiesa quei gesti che
fanno il corpo del Figlio suo. Il presbitero, che in forza del dono ricevuto
con il sacramento dell’Ordine ripete quei gesti, è custodito nel grembo della
Vergine. Serve una norma per dirci come ci si deve comportare?
59. Divenuti strumenti per far divampare il fuoco del suo amore
sulla terra, custoditi nel grembo di Maria, Vergine fatta Chiesa (come cantava
san Francesco), i presbiteri si lasciano lavorare dallo Spirito che vuole
portare a compimento l’opera che ha iniziato nella loro ordinazione. L’azione
dello Spirito offre a loro la possibilità di esercitare la presidenza
dell’assemblea eucaristica con il timore di Pietro, consapevole del suo essere
peccatore (cfr. Lc 5,1-11), con l’umiltà forte del servo sofferente (cfr. Is 42
ss), con il desiderio di “farsi mangiare” dal popolo a loro affidato
nell’esercizio quotidiano del ministero.
60. È la celebrazione stessa che educa a questa qualità di
presidenza, non è, lo ripetiamo, un’adesione mentale, anche se tutta la nostra
mente, come pure la nostra sensibilità, viene in essa coinvolta. Il presbitero
è, dunque, formato alla presidenza dalle parole e dai gesti che la liturgia
mette sulle sue labbra e nelle sue mani.
Non siede su di un trono [18] perché
il Signore regna con l’umiltà di chi serve.
Non ruba la centralità all’altare, segno di Cristo dal cui
fianco squarciato scaturirono l’acqua e il sangue fonte dei sacramenti della
Chiesa, e centro della nostra lode e del
comune rendimento di grazie. [19]
Accostandosi all’altare per l’offerta il presbitero è educato all’umiltà e al pentimento dalle parole: «Umili e pentiti accoglici, o Signore: ti sia gradito il nostro sacrificio che oggi si compie dinanzi a te». [20]
Non può presumere di se stesso per il ministero a Lui affidato
perché la Liturgia lo invita a chiedere di essere purificato, nel segno
dell’acqua: «Lavami, o Signore, dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi
puro». [21]
Le parole che la liturgia mette sulle sue labbra hanno contenuti,
diversi che chiedono specifiche tonalità: per l’importanza di queste parole al
presbitero è chiesta una vera ars dicendi. Esse danno forma ai suoi
sentimenti interiori, ora nella supplica al Padre a nome dell’assemblea, ora
nell’esortazione rivolta all’assemblea, ora nell’acclamazione ad una sola voce
con tutta l’assemblea.
Con la preghiera eucaristica – nella quale anche tutti i
battezzati partecipano ascoltando con riverenza e silenzio e
intervenendo con le acclamazioni [22] –
chi presiede ha la forza, a nome di tutto il popolo santo, di
ricordare al Padre l’offerta del Figlio suo nell’ultima Cena, perché quel dono
immenso si renda nuovamente presente sull’altare. A quell’offerta partecipa con
l’offerta di se stesso. Il presbitero non può narrare al Padre l’ultima Cena
senza esserne partecipe. Non può dire: «Prendete, e mangiatene tutti: questo è
il mio Corpo offerto in sacrificio per voi», e non vivere lo stesso desiderio
di offrire il proprio corpo, la propria vita per il popolo a lui affidato. È
ciò che avviene nell’esercizio del suo ministero.
Da tutto questo, e da molto altro, il presbitero viene
continuamente formato nell’azione celebrativa.
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