45. La domanda che ci poniamo è, dunque, come
tornare ad essere capaci di simboli? Come tornare a saperli leggere per poterli
vivere? Sappiamo bene che la celebrazione dei sacramenti è – per grazia di Dio
– efficace in se stessa (ex opere operato) ma questo non garantisce un
pieno coinvolgimento delle persone senza un adeguato modo di porsi di fronte al
linguaggio della celebrazione. La lettura simbolica non è un fatto di
conoscenza mentale, di acquisizione di concetti ma è esperienza vitale.
46. Anzitutto dobbiamo riacquistare fiducia nei confronti della
creazione. Intendo dire che le cose – con le quali i sacramenti “sono fatti” –
vengono da Dio, a Lui sono orientate e da Lui sono state assunte, in modo
particolare con l’incarnazione, perché diventassero strumenti di salvezza,
veicoli dello Spirito, canali di grazia. Qui si avverte tutta la distanza sia
dalla visione materialista sia da quella spiritualista. Se le cose create sono
parte irrinunciabile dell’agire sacramentale che opera la nostra salvezza,
dobbiamo predisporci nei loro confronti con uno sguardo nuovo non superficiale,
rispettoso, grato. Fin dall’origine esse contengono il germe della grazia
santificante dei sacramenti.
47. Altra questione decisiva – sempre riflettendo su come la
Liturgia ci forma – è l’educazione necessaria per poter acquisire
l’atteggiamento interiore che ci permette di porre e di comprendere i simboli
liturgici. Lo esprimo in modo semplice. Penso ai genitori e, ancor più, ai
nonni, ma anche ai nostri parroci e catechisti. Molti di noi hanno appreso la
potenza dei gesti della liturgia – come ad esempio il segno della croce, lo
stare in ginocchio, le formule della nostra fede – proprio da loro. Forse non
ne abbiamo il ricordo vivo, ma facilmente possiamo immaginare il gesto di una
mano più grande che prende la piccola mano di un bambino e la accompagna
lentamente nel tracciare per la prima volta il segno della nostra salvezza. Al
movimento si accompagnano le parole, anch’esse lente, quasi a voler prendere
possesso di ogni istante di quel gesto, di tutto il corpo: «Nel nome del Padre
… e del Figlio … e dello Spirito Santo … Amen». Per poi lasciare la mano del
bambino e guardarlo ripetere da solo, pronti a venire in suo aiuto, quel gesto
ormai consegnato, come un abito che crescerà con Lui, vestendolo nel modo che
solo lo Spirito conosce. Da quel momento quel gesto, la sua forza simbolica, ci
appartiene o, sarebbe meglio dire, noi apparteniamo a quel gesto, ci dà forma,
siamo da esso formati. Non servono troppi discorsi, non è necessario aver
compreso tutto di quel gesto: occorre essere piccoli sia nel consegnarlo sia
nel riceverlo. Il resto è opera dello Spirito. Così siamo stati iniziati al
linguaggio simbolico. Di questa ricchezza non possiamo farci derubare.
Crescendo potremo avere più mezzi per poter comprendere, ma sempre a condizione
di rimanere piccoli.
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